Riaprire i Navigli
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Convegno "Riaprire i Navigli a Milano" Regione Lombardia, sala Pirelli, 24 giugno 2015 Intervento di Giorgio Goggi

24 giugno 2015

Convegno
"Riaprire i Navigli a Milano"
Regione Lombardia, sala Pirelli, 24 giugno 2015
Intervento di Giorgio Goggi
1. Visione fallace e visione veritiera
Quando si parla della chiusura dei Navigli milanesi, quelli che li rimpiangono, e sono la maggioranza, la considerano un vulnus fatto in modo autoritario alla loro città.
In realtà non è proprio così. Il processo fu molto autoritario, ma, se riandiamo alla storia di quel momento, vediamo che il dissenso nei confronti della chiusura era assai poco diffuso, mentre vi erano addirittura comitati per la chiusura.
Non molti sanno che la storia della chiusura dei Navigli è stata scritta dalla ricercatrice francese Alice Ingold nel suo libro "Négocier la ville"[1].
Ingold dice che i milanesi, guardando indietro, vedono la vicenda della chiusura attraverso uno "specchio deformante".
Infatti, allora i milanesi non difesero i loro Navigli: anche i pochi che si opponevano pensavano che il mantenimento di tutti i canali fosse impossibile e premevano per conservarne solo alcuni tratti, il solo pittore Carlo Carrà votò contro in Commissione Edilizia.
La possibilità offerta dal regime di costruire in fregio alla nuova strada, trasformando i giardini e i fabbricati commerciali esistenti, tacitò definitivamente ogni protesta.
Ingold lo definisce impietosamente come un "fallimento della comunità urbana di difendere l'immagine simbolica della città". Il fatto è che questa immagine simbolica non era percepita.
Ed è questo il punto: il sistema dei Navigli non era visto allora sotto l'aspetto simbolico come elemento costitutivo della città, e nemmeno sotto quello architettonico e paesaggistico, ma sotto il mero aspetto patrimoniale.
I Navigli, non più necessari per la navigazione, erano un patrimonio pubblico che doveva essere sfruttato, messo a reddito. Le proprietà immobiliari frontiste erano anch'esse un patrimonio -privato- suscettibile di un cospicuo incremento di valore con l'eliminazione dei canali.
Peggio ancora, il tutto era visto come un fatto essenzialmente milanese, nessuno allora si pose il problema che in questo modo si rompeva la continuità della rete idroviaria lombarda.
Così, propalando un'illusoria visione di modernità (le auto, la velocità, la circonvallazione veloce del centro) che sedusse praticamente tutti, i Navigli furono chiusi senza tante storie.
Ora noi, se vogliamo pensare al futuro paesaggio di Milano, dobbiamo innanzitutto costruire una nuova visione (veritiera) dei Navigli, comprenderne a fondo e costruirne l'immagine simbolica.
Soprattutto non dobbiamo ripetere lo stesso errore: i Navigli non sono solo un problema milanese, sono l'anello di congiunzione della grande rete idroviaria lombarda.
I Navigli sono un elemento costitutivo della Lombardia, storicamente cresciuta e prosperata sui suoi canali.
Questa visione, che è quella vera, consente di ribattere a tutte le obiezioni di chi si oppone alla riapertura, e di chi -giustamente- vuole essere convinto di non riportarne svantaggi, obiezioni che sono tutte sostanzialmente "milanocentriche".
Guai se ci dimenticassimo di questa dimensione del problema.
2. Cultura del paesaggio
La visione simbolica dei Navigli e della rete regionale, che dobbiamo elaborare perché intorno alla riapertura ci sia il consenso e la partecipazione, deve avere la sua complessità e la necessaria completezza.
Dobbiamo rifuggire da ogni tentazione oleografica, dobbiamo dimenticarci delle cartoline d'epoca.
Dobbiamo essere consapevoli che, in Milano, si tratta di costruire nuovo paesaggio, che dovrà essere il paesaggio del nostro tempo, pur con l'assoluto rispetto delle memorie. In Lombardia bisogna costruire una nuova economia dei canali, che potrà anche portare a nuovo paesaggio.
Il tutto sarà difficile e richiederà un impegno collettivo, richiederà riflessione da parte di tutti.
Lo studio di fattibilità promosso dal comune di Milano è un risultato straordinario, soprattutto perché ha risolto tutti i problemi tecnici: oggi abbiamo il modello idraulico dei nuovi Navigli, conosciamo le quote del fondo, del pelo libero e dei ponti, abbiamo risolto ogni problema di interferenza.
Tuttavia questo studio non potrà essere considerato conclusivo, né della strategia, né dell'impianto paesistico.
Anzi, io non farei nemmeno vedere i pur accattivanti rendernig del nuovo Naviglio, tanto considero importante che ognuno costruisca la propria visione del futuro paesaggio di Milano, senza l'influenza di modelli univoci.
Il risultato finale dovrà essere condiviso nel modo più largo possibile.
3. Guidare il processo
Chi guiderà il complesso processo di riapertura dei Navigli e di ricostruzione della rete canalizia lombarda?
Gli storici hanno coniato il termine di "società idraulica" per quegli antichi imperi (la Mesopotamia, l'Egitto) ove la necessità di regimare la acque imponeva un potere assoluto e verticistico, perché l'acqua può essere governata solo da chi ha il controllo complessivo di tutto il bacino.
Oggi viviamo in democrazia, ma il magistrato del Po, mutatis mutandis, è un plenipotenziario che risponde a quegli stessi requisiti.
Dunque non può che essere la Regione titolare della gestione della rete idroviaria e di quella dell'acqua, perché solo la Regione ha il controllo di tutto il bacino e già ora gestisce e recupera tutto il sistema dei canali lombardi.
Quindi anche il processo di riapertura dovrà essere gestito dalla Regione, in proprio o attraverso il Consorzio Villoresi o tramite un'apposita agenzia.
Sarebbe utile che si pensasse subito ad attivare questo potere di guida e ad individuarne le modalità.
4. Le necessarie tecnologie sofisticate
Dal 1200 a tutto il 1400 quella dei canali, e soprattutto quella delle chiuse, che sono state concepite a Milano, era la grande tecnologia moderna che Milano esportava in tutta Europa. Milano era famosa in Europa anche per i prodotti di fustagno e le armature, ma la tecnologia avanzata, quella ingegneristica e immateriale, era quelle della regimazione delle acque.
Milano ha insegnato allora a tutta l'Europa a costruire canali e chiuse, che poi si sono diffusi in tutto il continente.
Oggi lo scavo dei canali e le chiuse sono tecnologia banale, ma altre tecnologie avanzate e immateriali ci toccherà utilizzare.
Quella del consenso, innanzitutto.
Il consenso inter istituzionale: l'insieme degli accordi (accordi di programma) per consentire la realizzazione e la gestione dell'opera da parte di tutte le amministrazioni. Tecnologia complessa e delicata, ma essenziale.
E' necessario che venga al più presto promosso l'accordo di programma per la riapertura dei Navigli milanesi. Tra la Regione ed il Comune di Milano, ma non solo, molte amministrazioni dovranno essere coinvolte.
La tecnologia che deve portare al consenso popolare, poi, è ancora più complessa e non completamente elaborata.
E' pur vero che la riapertura dei Navigli ha avuto un grande successo nel referendum indetto dal comune di Milano e che, tutte le volte che se ne parla, mobilita una grande quantità di persone. Ma quando si passerà al progetto i dissensi locali non mancheranno e nemmeno i comitati contro.
A noi però manca totalmente la possibilità di pesare il dissenso (cosa per la quale altri paesi, come la Francia, hanno prodotto procedure molto efficaci) ne consegue che spesso sparute minoranze prevalgono sull'interesse comune ed hanno buon gioco nel bloccare le opere. Questo perché non sappiamo valutare la dimensione del consenso né quella del dissenso.
Si tratta di una tecnologia amministrativa che ci manca e di cui ci dobbiamo urgentemente dotare se vogliamo intraprendere grandi opere come questa.
La tecnologia finanziaria, poi.
La riapertura dei Navigli è una mera opera pubblica o no?
Il prof. Camagni, durante la presentazione dello studio del Politecnico, diceva quasi orgogliosamente di non aver previsto alcun piano economico-finanziario perché solo di opera pubblica si tratta: ci saranno benefici distribuiti ma non si produrranno introiti tali da partecipare al finanziamento dell'opera.
Non voglio mettere in dubbio il suo studio, però noi sappiamo che qualche cespite c'è, soprattutto se vediamo la cosa nella prospettiva regionale.
Il dislivello in Milano, sfruttabile per produrre energia elettrica, può produrre 1,6 Megawatt. Poca cosa, ma il dislivello tra il lago di Como e Milano, di 108 metri, produrrà qualcosa di più, e fino a Pavia di più ancora. Lo stesso si può dire per il Naviglio Grande.
Non saranno cespiti sufficienti a ripagare l'opera, ma forse non saranno insignificanti per i costi di gestione.
Lo stesso dicasi per altri possibili cespiti: lo scarico in acque superficiali delle pompe di calore, la navigazione, le concessioni commerciali, le concessioni pubblicitarie, ecc.
Oggi abbiamo risolto, con lo studio di fattibilità del Politecnico, tutti i problemi tecnici e d'interferenza. La ricerca da fare ora riguarda l'individuazione dei cespiti prodotti dalla riapertura del sistema idroviario lombardo.
La valutazione dei cespiti va fatta a livello lombardo e, dopo che il Comune di Milano si è fatto carico dello studio di fattibilità tecnico, io propongo che sia la Regione a farsi carico di quest'altro studio necessario.
Anche sui costi si potrà operare: il mero costo delle opere da computo metrico è di 223 milioni di Euro. Il resto, per arrivare ai 407 milioni, è costituito da opere provvisionali, spese tecniche, IVA.
Se però si metterà in atto il nuovo schema di circolazione prima di iniziare gli scavi, le opere provvisionali per il traffico possono essere risparmiate, non è detto poi che le spese tecniche impegnino il 20% del valore dell'opera. Può essere individuato un concessionario, che potrebbe recuperare almeno in parte il costo dell'IVA.
Ci possono essere donazioni: di cittadini, di imprese, di fondazioni bancarie.
Tutto questo può essere montato in un piano finanziario più complesso e più esteso di quello di una semplice opera pubblica.
Senza false speranze e senza illusioni, ma con concretezza, è necessario elaborare una tecnologia finanziaria adeguata.
Perché la riapertura dei Navigli deve essere espressione della grande tecnologia lombarda del futuro.
[1] Alice Ingold, Négocier la ville, project urbain, société et fascisme à Milan, Éditions de l'École des hautes études en sciences sociales, Paris, 2003


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