Riaprire i Navigli
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IL PROGETTO NAVIGLI È ANCORA UN’ALTERNATIVA AL COSIDDETTO “MODELLO MILANO” Una tipica telenovela milanese di Roberto Biscardini da Arcipelago Milano del 3 dicembre 2024

03 dicembre 2024

IL PROGETTO NAVIGLI È ANCORA UN’ALTERNATIVA AL COSIDDETTO “MODELLO MILANO” Una tipica telenovela milanese di Roberto Biscardini da Arcipelago Milano del 3 dicembre 2024

Quando nel 2008 abbiamo iniziato a parlare della riapertura dei Navigli a Milano in Facoltà di Architettura, avevamo chiaro il significato di questa proposta. Riaprire gli otto chilometri che a Milano erano stati chiusi a partire dal 1929 per ricostruire lo storico itinerario navigabile Colico-Venezia, attraverso il Lago di Como, l’Adda, il Naviglio di Paderno, il Naviglio Martesana, la Cerchia interna (interrotta), il Naviglio Pavese, il Ticino, il Po e il mare. Così come ancora più facilmente, con pochi interventi sul Naviglio Grande e sul Naviglio Pavese, si potrebbe navigare da Locarno a Venezia. 

Riaprire gli otto chilometri mancanti in Milano e contemporaneamente riqualificare l’intera rete dei Navigli esterni, tuttora esistenti ma in stato di relativo abbandono, per restituire la loro plurifunzionalità storica.

Garantire insieme l’acqua per l’irrigazione dei campi, per la produzione di energia idroelettrica e per ripristinare soprattutto la funzione originaria della navigazione che fu la ragione prima della loro costruzione fin dalla fine del 1200.

Come ha sostenuto la ricercatrice francese Alice Ingold in una ricerca molto approfondita sulla storia della chiusura dei Navigli, il “misfatto” della loro chiusura, non dipese dal fatto che fossero puzzolenti ed inquinati (questa fu la propaganda del fascismo di allora), ma dagli interessi speculativi già iniziati a Milano a metà dell’800. 

Obiettivo principale sostituire i Navigli con strade di grande scorrimento, evitando così altri possibili sventramenti, e nello stesso tempo dare la possibilità alle proprietà immobiliari del centro storico che si affacciavano sui canali di sostituire giardini e vetusti fabbricati commerciali con fabbricati residenziali di grande pregio. Quelli che ancora vediamo oggi lungo via Fatebenefratelli, via San Damiano, via Francesco Sforza, via Mulino delle Armi, via De Amicis, fino a Conca del Naviglio. 

Non a caso la Ingold, nel definire impietosamente la chiusura dei Navigli come “il fallimento della comunità urbana nel difendere l’immagine simbolica della città”, ricorda come i comitati pro copertura furono costituiti soprattutto da proprietari immobiliari che, come risulta dai documenti, insistevano esclusivamente sui vantaggi finanziari di tale operazione.

Di conseguenza, un’amministrazione comunale di Milano che poco si preoccupò di ciò che sarebbe accaduto fuori città, con la chiusura del tratto urbano, provocò l’abbandono sostanziale della grande rete dei Navigli lombardi, già allora una delle più grandi reti navigabili europee, provocando il fallimento dell’intera comunità regionale nel difendere l’immagine reale del grande paesaggio di Lombardia.

Ecco perché fin dal 2008 abbiamo sempre parlato di un progetto integrale di riqualificazione dei Navigli alla scala regionale, per ricostruire una rete di rilevanza internazionale per la navigazione interna di 150 chilometri. Con ricadute economiche di grandissima rilevanza, a partire dalla produzione di energia elettrica che si potrebbe ottenere sfruttando il salto delle 54 conche esistenti lungo il percorso dell’intera rete. 

Un progetto che, se a scala urbana ha come obiettivo quello di riprenderci la città pubblica per una nuova idea di città, più orizzontale che verticale, per tutti e non per pochi, occasione per l’allargamento straordinario di nuovi spazi pubblici e spazi aperti per nuovi usi di città; dall’altro, alla grande scala, il tema centrale è la riqualificazione di tutti i Navigli lombardi, per il rafforzamento del sistema policentrico regionale, che si inquadra nello sviluppo delle reti navigabili interne d’Europa.

Questo spiega perché, fin dalle nostre prime proposte sulle modalità di finanziamento, abbiamo sempre indicato non solo la possibilità di partenariati pubblici e privati, ma soprattutto la compartecipazione finanziaria tra Comune, Regione ed Europa, essendo questi i soggetti più direttamente interessati alla realizzazione di questo intervento. Cosa che sarebbe stata chiarissima se (come indicato peraltro da una mozione regionale approvata all’unanimità nel 2017) si fosse dato corso, per iniziativa dello stesso Comune di Milano, all’adozione di un accordo di programma con la Regione. 

Ed ecco perché quando si sostiene che Milano avrebbe delle altre priorità da soddisfare, per esempio nel settore della casa, dei trasporti e di altri servizi sociali, questo è assolutamente vero, ma non è alternativo alla riapertura dei Navigli in quanto, ancorché ricadente all’interno della città, non è solo un progetto per Milano. 

Non è quindi convincente la tesi del Sindaco Sala secondo la quale la riapertura degli otto chilometri dei Navigli in Milano avrebbe avuto una battuta d’arresto in ragione della carenza di risorse. Le risorse non ci sono perché il Comune non è andato a cercarsele, né coinvolgendo la Regione Lombardia e il Governo centrale, né tantomeno coinvolgendo l’Europa nonostante la disponibilità data dalla Commissione Europea nel 2019, per voce della Commissaria ai trasporti Violetta Bulc, in un incontro diretto con il Sindaco Sala, a condizione che Milano presentasse un progetto integrale che l’Europa stessa ha consigliato al Sindaco di promuovere.

È chiaro invece che, se permane nel Comune di Milano un atteggiamento rinunciatario rispetto alla riapertura dei Navigli, non solo si rischia di mettere in discussione il valore democratico del referendum popolare del 2011 ma anche di buttare al vento le decisioni già assunte dal Comune nonché le energie e le risorse spese da quella data in poi.

Con la Giunta Pisapia la riapertura dei Navigli fu riconosciuta come opera strategica nel PGT del 2012 e lo stesso Pisapia incaricò il Politecnico di Milano di redigere il primo studio di fattibilità. Con Sala si finanziò dapprima il Dibattito pubblico e il progetto di apertura di cinque piccole tratte (progetto concettualmente sbagliato perché non rispondente alla richiesta europea di riapertura integrale della rete navigabile) e in un secondo momento, sempre con Sala, si incaricò nel dicembre 2019 MM di predisporre un progetto di fattibilità tecnica ed economica per la riapertura integrale con uno stanziamento di 2,3 milioni di euro. Somma probabilmente già corrisposta ad MM nonostante, a distanza di cinque anni, nessuno, nemmeno il Consiglio comunale, conosca i risultati di questo lavoro.

Ma le contraddizioni non finiscono qui.

Dalle notizie apparse sulla stampa il Comune si appresterebbe ad approvare una manovra cosiddetta “espansiva” per il Bilancio 2025 di circa 4 miliardi per finanziare interventi sicuramente utili nel settore della casa e dei servizi. Ma se il progetto Navigli è strategico, con una disponibilità di risorse come questa non si riesce a trovare una decina di milioni per ricostruire almeno la Conca di Viarenna, con l’obiettivo di estendere il bacino della Darsena verso Conca del Naviglio? Un progetto dell’architetto Empio Malara, già approvato anni fa dal Comune di Milano e inserito più volte nel Piano triennale delle opere pubbliche.

Ma la cosa più stridente rispetto alle dichiarazioni del Sindaco circa la carenza di risorse è che l’Amministrazione comunale, nonostante le richieste di tanti cittadini, non ha mai verificato concretamente la possibilità di riaprire i suoi Navigli definendo un vero e proprio piano finanziario che preveda la realizzazione dei lavori anche per lotti, di cui il primo potrebbe ragionevolmente essere quello relativo al prolungamento del Naviglio Martesana lungo via Melchiorre Gioia fino ai Bastioni di Porta Nuova. Ed è ancora più grave dichiarare che non ci sono risorse se è corretto il calcolo secondo il quale la gestione urbanistica del Comune di Milano avrebbe prodotto in questi ultimi anni un mancato introito di alcuni miliardi di euro a causa di una cattiva monetizzazione degli standard urbanistici e di un calcolo al ribasso degli oneri di urbanizzazione.

In sintesi per i Navigli non si è mai definito un concreto programma dei lavori nel caso si fosse voluto intervenire con risorse proprie, né c’è stata una vera iniziativa politica per recuperare risorse altrove, tra i fondi PNRR per esempio o tra quelle disponibili a livello europeo.

È evidente che se negli amministratori locali prevale quasi come unico interesse la valorizzazione dei fondi finanziari destinati agli interventi immobiliari, “15 miliardi tra il 2014 e il 2018, altri 13 tra il 2019 e il 2029, destinati a sviluppare 10 miliardi di metri quadrati di città, ed altri 38 sarebbero pronti ad entrare in gioco”, la città ha dimenticato l’interesse pubblico ed è solo al servizio della rendita. Paga alla rendita la cementificazione della città. 

Ha perso la grande opportunità di destinare a parco buona parte degli ex Scali ferroviari. Gongola se in Montenapoleone i valori immobiliari sono i più alti del mondo. È orgogliosa che ci sia stata una crescita negli ultimi 10 anni di 500 mila nuovi abitanti attendibilmente ricchi, ma non si preoccupa che la città abbia così contemporaneamente perso 400 mila abitanti del ceto medio o povero che non possono più sostenere i costi delle abitazioni.

Basta questo scenario per capire che il progetto Navigli è un’altra cosa. È il paradigma di un nuovo modello di città che investe sul valore simbolico e concreto dell’acqua, come per altro stanno facendo molte altre città del mondo, dall’Europa all’Asia e al Giappone. 

È il paradigma di una città ecologica e per tutti che la renderebbe, questo sì, ancora più famosa in tutto il mondo più di quanto non potrebbero mai fare 100 nuovi grattacieli, 10 Expo e 3 olimpiadi.





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