Riaprire i Navigli
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"L'IMMAGINE DEI NAVIGLI TRA PASSATO E FUTURO", Introduzione di Roberto Biscardini, 8 febbraio 2014, Milano, Palazzo Morando

08 febbraio 2014

Intervento di Roberto Biscardini - Palazzo Morando
8 febbario 2014
Un tema non facilissimo quello dell’immagine dei Navigli tra passato e futuro, perché è chiarissima l’immagine dei Navigli nel passato, ma è complesso capire o definire quale potrà essere l’immagine dei Navigli nel futuro.
Con questa premessa, quale presidente dell’Associazione Riaprire i Navigli, dopo aver fatto qualche anno fa, le verifiche di fattibilità sull’ipotesi di riaprire i Navigli a Milano, e avendone accertata l’assoluta fattibilità, voglio dirvi brevemente di cosa stiamo parlando. Ormai a Milano, si parla molto dei Navigli, anche in merito del lavoro fatto dalla nostra Associazione in questi ultimi due anni. Ma è bene ripetere il senso del nostro progetto, perché ancora si fa molta confusione. Stiamo parlando dell’ipotesi di riaprire i Navigli che sono stati chiusi dal 1929 al 1960 circa e stiamo proponendo la loro riapertura. Otto chilometri di Navigli chiusi nel tratto da Cassina de Pom, a nord di via Melchiorre Gioia, lungo via San Marco e la cerchia che proseguivano riversando le loro acque nella Darsena attraverso la Conca del Naviglio. Proponiamo di riaprire otto chilometri in Milano ma la dimensione del progetto non è solo milanese. La riapertura di otto chilometri di Navigli in Milano implica rimettere in rete e riattivare 150 chilometri di Navigli lombardi già esistenti: il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese e il Naviglio Martesana che oggi mancano di una loro continuità per via di quella connessione.
Questione assolutamente fondamentale, tenendo conto che la funzione principale e la finalità principale di questo progetto è rendere navigabile l’intero sistema. Una navigabilità più per le persone, e non per merci come era un tempo, nelle diversificate forme che saranno possibili.
Come associazione riteniamo che nonostante per trent’anni si sia parlato della necessità di riqualificare i Navigli esistenti, una buona ragione per la quale ciò non è stato possibile e non sono stati riqualificati è propria la mancanza dell’integrazione della rete a causa dell’interruzione dei Navigli dentro la città di Milano.
Se vogliamo fare una similitudine di tipo trasportistico è un po’ come discutere del passante ferroviario in Milano che fu ricostruito negli anni ’80 -’90 esattamente sul tracciato della ferrovia che passava per viale Tunisia e collegava le linee di Varese-Domodossola con quelle di Pavia-Bologna-Brescia. Tratta ferroviaria chiusa nei primi del Novecento e oggi riaperta, pur in sottosuolo, per rimettere in rete l’intero sistema. Si tratta quindi di riaprire oggi sulla rete dei Navigli una tratta che è stata erroneamente chiusa.
Il progetto è quindi assolutamente fattibile, e lo ripeto, perché questo è un tema assolutamente cruciale per rimuovere inutili diffidenze. Molti cittadini ed anche molti tecnici dubitano delle possibilità di potere riaprire questo tratto.
Dal punto di vista ingegneristico, trasportistico, economico e architettonico, la fattibilità del progetto è invece assolutamente certa. Semmai nella sua dimensione simbolica il tema più intrigante è “perché riaprirli?”.
Noi dell’Associazione Riaprire i Navigli ci siamo dati una risposta.
I Navigli furono chiusi a partire dal 1929 dal governo fascista, per certi versi addirittura scavalcando le decisioni del Comune di Milano. Il provvedimento del podestà è un provvedimento che fu preso per ordine del governo centrale in nome della cultura di allora, in nome della modernità di cui il fascismo si faceva promotore. I Navigli venivano vissuti allora come un vero “cappio al collo” – frase del podestà – “un ostacolo al traffico”, “origine di nebbia”, “origine di malaria”. Una “vera cloaca”, ricordando che anticamente erano luogo di fognature. Naturalmente tutte immagini propagandistiche, anche perché quando furono chiusi le fognature già esistevano e i Navigli non erano più luoghi di scarichi, erano tendenzialmente puliti. Furono chiusi in un clima culturale relativamente disattento e pavido. Infatti non ci fu a Milano una vera opposizione alla chiusura dei Navigli. Neppure dal punto di vista culturale ci fu una contrapposizione decisa contro questa scelta.
Pochi furono coloro che si opposero, tra questi l’architetto Luca Beltrami a cui va riconosciuto l’appellativo di un intervento ritenuto “urbanicidio”. Carlo Carrà si mise contro e con lui pochi membri della Commissione del Paesaggio di allora. A questo propositi, voglio ricordare qui, in questa sede del Museo di Milano, in cui possiamo permetterci di parlare di cose non troppo tecniche, un pittore non molto conosciuto o meglio non molto conosciuto ai più che ha per noi un grande valore. Mi riferisco a Gianni Maimeri, che tra il febbraio e il marzo del 1929, preso dalla rabbia nei confronti della decisione del podestà di chiudere i Navigli si mise a dipingere circa trenta tele sui Navigli che da lì a poco sarebbero stati chiusi. Un segno di vigorosa protesta contro il fascismo in nome del fatto che dopo quelle immagini e quelle tele il Naviglio a Milano non si sarebbe più potuto vedere. Ho voluto citare Maimeri per rendere omaggio a tutti coloro che si batterono allora, in minoranza, contro la chiusura.
L’associazione entro i prossimi mesi dovrebbe riuscire a regalare alle amministrazioni locali, Comune e Regione soprattutto (perché come ho detto prima è un’opera che si realizza in Milano ma che ha una grande valenza regionale) i Criteri per la progettazione e la realizzazione dell’opera. Nonostante questi aspetti molto tecnici, oggi voglio parlarvi del progetto dal punto di vista del paesaggio ovvero quali potrebbero essere i contributi che la riapertura dei Navigli in Milano può arrecare al paesaggio milanese e lombardo. Che peso avrà la riapertura dei Navigli sulla costruzione della nuova Milano.
Innanzitutto, vi dico subito che il problema più complesso non è la costruzione del manufatto. Il manufatto che si realizza è relativamente semplice, e per noi il problema non riguarda la ricostruzione del manufatto in termini archeologici, da riproporre nella logica del progetto di restauro scientifico. Un tema che non ci riguarda e comunque non è più possibile. La città è cambiata e quindi i Navigli del futuro non saranno lo “scimmiottamento” dei Navigli del passato.
Si tratta di costruire attraverso i Navigli una nuova città pubblica, anzi una nuova Milano, da usare in modo diverso da quella attuale. Faccio solo un esempio, la Cerchia dei Navigli, oggi destinata al solo uso del traffico privato è la testimonianza della privatizzazione di uno spazio che potrebbe essere restituito all’uso pubblico della città. E lo stesso vale per tutte le aree al contorno dei Navigli che possono crescere insieme a loro, cambiare insieme a loro, trasformarsi insieme a loro.
Naturalmente l’impatto più forte sarà quello dell’acqua. Siamo partiti dicendo “Riaprire i Navigli” poi ci siamo resi conto che forse l’immagine più giusta era quella di “Ricostruire Milano, città d’acqua” e poi ancora andando avanti nelle elaborazioni abbiamo deciso dedicare la nostra nuova pubblicazione a “Milano, nuova città sui Navigli”. Qualcosa di più grande dell’opera in sé, come per altro già le fotografie del Chierichetti dimostrano quanto fosse più grande ed importate la Milano dei Navigli stessi. Quindi prima di tutto Milano città d’acqua.
Vi faccio vedere qualche immagine.
Prima di tutto cos’era Milano città d’acqua a metà dell’Ottocento. Da qui si può vedere come si erano evoluti, arricchiti i corsi d’acqua nel tempo. Città d’acqua via a via adattata agli usi, all’economia e allo sviluppo del territorio. Un processo lento e complesso dai romani in poi. Dai romani che deviavano i corsi d’acqua, l’Olona e il Seveso per costruire il canale navigabile della Vettabbia, fino alle opere in parte leonardesche dei Navigli di cui stiamo discutendo.
La pianta della città potrebbe essere paragonata all’immagine di una grande città europea con tanti corsi d’acqua che oggi Milano non ha assolutamente più.
Noi milanesi abbiamo la responsabilità di avere, forse un po’ distrattamente, seguito la logica della propaganda degli anni Venti, seconda la quale, in nome della modernità, potevamo dimenticarci della nostra acqua che non abbiamo difeso, non abbiamo tutelata, non abbiamo curata, come diceva appunto Maimeri.
Quindi realizzare oggi il progetto di riaprire i Navigli, relativamente semplice quanto affascinante, significa far capire ai milanesi che l’acqua, in parte, sotto la città corre ancora, ma è stata coperta. Questa immagine mostra via Monte Santo, vicino a Piazza della Repubblica, sotto la quale corre il Redefossi e nel Redefossi entra oggi l’acqua della Martesana e del Seveso, esattamente l’acqua di cui noi abbiamo bisogno per riaprire i Navigli e indirizzarli da Cassina de Pom, sotto i Bastioni di Porta Volta lungo il percorso originario di via San Marco, anziché in sottosuolo lungo la circonvallazione di Piazza della Repubblica.
Questo è il progetto che abbiamo elaborato. Il problema di fondo è portare la Martesana a Milano perché così era. L’acqua di cui stiamo parlando, da Cassina de Pom alla Darsena, è quella della Martesana, quindi è l’acqua del lago di Como, è l’acqua dell’Adda che attraversa quei meravigliosi paesaggi, anche leonardeschi, paesaggi ancora intatti, di cui vi faccio vedere qualche immagine. Si tratta di portare il paesaggio dell’Adda e la campagna dentro la città, all’incontrario di come purtroppo molta città è andata verso la campagna nel corso degli ultimi trent’anni. Si tratta di ripristinare quell’alternanza tra città e campagna, attraversata dalla rete dei 150 chilometri dei Navigli lombardi. A questo proposito vi mostro le immagini dell’incile della Martesana nel punto in cui si stacca dall’Adda a Trezzo d’Adda.
Un paesaggio naturalmente molto diverso rispetto a quello urbano della Martesana a Milano città e nella sua periferia quando attraversa quartieri industriai e aree degradate e campi rom.
Questa è l’immagine del Naviglio Grande, paesaggio della Lombardia, non moltissimi anni fa in una scena del Naviglio in secca, quando i bambini corrono a prendere i pesci dell’asciutta. Solo uno spunto per far capre quanto possono cambiare i comportamenti con i nuovi Navigli. È un progetto che vuole cambiare il volto della città sia alla grande scala regionale sia a livello urbano. Un progetto che introdurrà nuove funzioni economiche, turistiche e legate alle attività culturali e museali. Il Naviglio attraversa Milano all’altezza della Cerchia in aree di grande valore monumentale, per esempio l’Università Statale, e può diventare un itinerario eco-museale lungo tutta la città. È anche un progetto “giovane”. Non dobbiamo vedere la riapertura dei Navigli né come un’opera di restauro, né come un’opera di archeologia dei manufatti idraulici, né come un’opera del passato, ma un progetto giovane, e moderno che riscopre una nuova modernità con funzioni che oggi Milano non conosce ancora.
A questo proposito vi mostra delle immagini di cosa succede in Europa, là dove hanno difeso e sviluppato i loro corsi d’acqua. Le immagini migliori del passato sono le immagini di Arnaldo Chierichetti, le immagini migliori e più simili al futuro sono quelle mutuabili da ciò che avviene già nel resto del mondo.
Ecco le immagini dell'Arsenale di Parigi, del Canal du l'Ourcq del Canal Saint Martin e poi di Annecy, Strasburgo, Amsterdam, Giethoorn, Utrecht, Oder Havel Canal (Berlino), Dusseldorf, Amburgo, del Brandeburgo, Bruges, Rosenhaven (Danimarca), Stoccolma, San Pietroburgo, Shropshire (Inghilterra), Camden, Regent Canal, Caen Hill Locks, Royal Canal e per finire un canale di Montreal e l'acqua di Vancouver.
Ho cercato con queste immagini di far capire che il problema principale è ricostruire la città con l’acqua perché sia fonte di eccezionale e nuova bellezza, di eccezionale ricchezza, fonte di nuove opportunità per l’ambiente, per la vita dei cittadini. L’immagine di un futuro che ha saputo recuperare la storia del passato, la storia delle città europee dove l’acqua è elemento fondamentale di civiltà. Una storia per altro tutta nostra, tutta italiana che abbiamo esportato in Europa fin dal Rinascimento, ma che poi noi abbiamo abbandonato e loro hanno difeso. Riconquistare i Navigli vuol dire riconquistare l’acqua e riconquistare civiltà.


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