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NAVIGLI, 30 ANNI DOPO BISCARDINI COMMENTA GIANNI BELTRAME

23 gennaio 2013

Ho avuto modo di leggere recentemente un pezzo di Gianni Beltrame,
scritto esattamente trent’anni fa, nel 1982, in occasione della
pubblicazione da parte della Provincia di Milano del volume “I Navigli
milanesi” a cura appunto di Toti Celona e dello stesso Beltrame.
Nel capitolo dedicato a “Il recupero dei Navigli”, Beltrame con assoluta
lucidità si fa interprete della necessità della riqualificazione e
rifunzionalizzazione dei Navigli esistenti.
“Le condizioni per un recupero graduale, se non del sistema intero, almeno dei suoi cinque
principali rami (Naviglio Grande, Naviglio di Bereguardo, Naviglio di
Pavia, Naviglio di Martesana e Naviglio di Paderno) ad una pluralità di
usi e di funzioni, esistono ancora.”
Il loro recupero, sosteneva allora Beltrame, poteva contare su una aumentata sensibilità collettiva e
di massa nei confronti della conservazione e valorizzazione dei “segni”
del proprio passato. Su un desiderio sempre più largo verso il riuso di
un “bene” collettivo, importante ed esemplare, quali sono i Navigli
lombardi. Un sentimento ed un bisogno che già allora andava ben oltre il
tema del “conservare”. Terzo, su una rinnovata sensibilità delle
amministrazioni pubbliche verso un “bene” che per decenni avevano
abbandonato alla decadenza e che avevano contribuito ad impoverire.
Gianni Beltrame, per rendere credibile la fattibilità di questo suo
progetto di recupero e di intervento, elenca puntualmente le “funzioni
più adatte a riattivare gli usi o meglio, ad attualizzare gli usi delle
vecchie funzioni oggi riproponibili”.  La funzione
urbanistico-territoriale generale. La funzione di connettivo di aree
verdi e di parchi regionali metropolitani e urbani (erano gli anni della
prima legge regionale sui parchi). La funzione irrigua, naturalmente.
La funzione della navigazione per il diporto e il tempo libero.
La produzione di energia elettrica, anche per lo sfruttamento dei piccoli
salti d’acqua. La funzione connessa alla produzione ittica, ricordando
come in passato nel Naviglio si fosse pescato in modo naturale, ma anche
come non fossero mancati allevamenti artificiali. Ed altre funzioni
connesse ad un diverso disegno urbano delle alzaie e delle aree
circostanti, per attività sportive, per corsi ciclopedonali, usi
turistici, nuovo paesaggio.
Chapeau! Immagino il fascino che può avere creato la lettura di un testo così ben meditato, frutto di
uno studio particolareggiato, in chi in quegli anni, anche un po’
pioneristicamente, faceva proprio il tema dei Navigli esistenti dal
punto di vista della loro possibile, quanto necessaria, valorizzazione,
sia in chi incominciava ad intravedere nella battaglia per il recupero
dei Navigli i termini di una battaglia più generale per la progettazione
di un nuovo paesaggio lombardo. Giovani studenti, vecchi milanesi,
avanguardie politiche. 
Ma c’è un punto. Perché nonostante questa
chiarezza di intenti e logiche argomentazioni da allora ad oggi non è
successo pressoché nulla? Perché trent’anni sono passati invano,
nell’incuria e nell’abbandono dei Navigli esistenti? 
Perché,
nonostante le buone intenzioni di Gianni Beltrame e di tanti come lui,
Empio Malara in primis, si sottovalutò l’importanza del quadro macro e
il valore complessivo dell’intero sistema idroviario.
Pensare di
valorizzare i cinque Navigli, i cinque raggi della ruota, senza mettere
mano al perno centrale della raggiera, confinava questa proposta in un
ambito ancora troppo “restaurativo”. Percepita come una cosa da bravi
architetti ma che non coinvolgeva, né scatenava, grandi suggestioni e
grandi speranze.
Senza il recupero della “fossa interna” in Milano,
senza il ripristino dell’intero sistema dei Navigli, la proposta per il
recupero dei Navigli superstiti non era sufficiente a scatenare
nell’immaginario collettivo l’idea di un nuovo paesaggio e di una grande
opera, in cui identificarsi, per riappropriarsi del passato e
progettare la futura città.
Ecco il salto di qualità di questi anni. 
È bastato che alcuni di noi ponessero qualche anno fa il tema “Riaprire
i Navigli si può”, per ricucire la ferita che era stata inferta a
Milano con la loro chiusura, che l’opinione pubblica, insieme a quella
accademica e scientifica, cogliesse il valore di una nuova prospettiva,
superando vecchi scetticismi.
È bastato un referendum popolare, con
un quesito neppure tanto chiaro, che 451.000 milanesi si schierassero
dalla parte della loro riapertura.
Ed infine è stato sufficiente
spiegare che la cosa più logica per riattivare l’intero sistema dovrà
avvenire seguendo il senso dell’acqua, e quindi ricostruendoli partendo
dalla Cassina de Pom’, lungo via Melchiorre Gioia, verso la “fossa
interna” fino alla Darsena, per capire che non si tratta di un
intervento di maquillage architettonico, ma strutturale, infrastrutturale, con uno straordinario valore alla grande scala urbana e regionale. 

Senza la riapertura della “fossa interna” l’intero Naviglio Martesana e
il Naviglio di Paderno (ma neppure gli altri) non torneranno mai al
loro rinnovato antico splendore e le funzioni che già Beltrame pensava
per tutti i rami esterni non vedranno mai una loro piena realizzazione.

È la riapertura della “fossa interna”, che farà da motore alla
riattivazione e riqualificazione dell’intero sistema. Senza la
riapertura dei Navigli chiusi a Milano, quindi senza la ricostruzione
dell’intero sistema, i rami esistenti potranno forse essere abbelliti,
ma non ritroveranno mai una nuova vita.
Questa è la novità del nuovo approccio ed il senso della battaglia per ridare a Milano i suoi Navigli.

di Roberto Biscardini


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