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NAVIGLI, 30 ANNI DOPO BISCARDINI COMMENTA GIANNI BELTRAME

24 gennaio 2013



Ho avuto modo di leggere recentemente un pezzo di Gianni Beltrame, scritto esattamente trent’anni fa, nel 1982, in occasione della pubblicazione da parte della Provincia di Milano del volume “I Navigli milanesi” a cura appunto di Toti Celona e dello stesso Beltrame.
Nel capitolo dedicato a “Il recupero dei Navigli”, Beltrame con assoluta lucidità si fa interprete della necessità della riqualificazione e rifunzionalizzazione dei Navigli esistenti.
“Le condizioni per un recupero graduale, se non del sistema intero, almeno dei suoi cinque principali rami (Naviglio Grande, Naviglio di Bereguardo, Naviglio di Pavia, Naviglio di Martesana e Naviglio di Paderno) ad una pluralità di usi e di funzioni, esistono ancora.”
Il loro recupero, sosteneva allora Beltrame, poteva contare su una aumentata sensibilità collettiva e di massa nei confronti della conservazione e valorizzazione dei “segni” del proprio passato. Su un desiderio sempre più largo verso il riuso di un “bene” collettivo, importante ed esemplare, quali sono i Navigli lombardi. Un sentimento ed un bisogno che già allora andava ben oltre il tema del “conservare”. Terzo, su una rinnovata sensibilità delle amministrazioni pubbliche verso un “bene” che per decenni avevano abbandonato alla decadenza e che avevano contribuito ad impoverire.
Gianni Beltrame, per rendere credibile la fattibilità di questo suo progetto di recupero e di intervento, elenca puntualmente le “funzioni più adatte a riattivare gli usi o meglio, ad attualizzare gli usi delle vecchie funzioni oggi riproponibili”.  La funzione urbanistico-territoriale generale. La funzione di connettivo di aree verdi e di parchi regionali metropolitani e urbani (erano gli anni della prima legge regionale sui parchi). La funzione irrigua, naturalmente. La funzione della navigazione per il diporto e il tempo libero.
La produzione di energia elettrica, anche per lo sfruttamento dei piccoli salti d’acqua. La funzione connessa alla produzione ittica, ricordando come in passato nel Naviglio si fosse pescato in modo naturale, ma anche come non fossero mancati allevamenti artificiali. Ed altre funzioni connesse ad un diverso disegno urbano delle alzaie e delle aree circostanti, per attività sportive, per corsi ciclopedonali, usi turistici, nuovo paesaggio.
Chapeau! Immagino il fascino che può avere creato la lettura di un testo così ben meditato, frutto di uno studio particolareggiato, in chi in quegli anni, anche un po’ pioneristicamente, faceva proprio il tema dei Navigli esistenti dal punto di vista della loro possibile, quanto necessaria, valorizzazione, sia in chi incominciava ad intravedere nella battaglia per il recupero dei Navigli i termini di una battaglia più generale per la progettazione di un nuovo paesaggio lombardo. Giovani studenti, vecchi milanesi, avanguardie politiche. 
Ma c’è un punto. Perché nonostante questa chiarezza di intenti e logiche argomentazioni da allora ad oggi non è successo pressoché nulla? Perché trent’anni sono passati invano, nell’incuria e nell’abbandono dei Navigli esistenti? 
Perché, nonostante le buone intenzioni di Gianni Beltrame e di tanti come lui, Empio Malara in primis, si sottovalutò l’importanza del quadro macro e il valore complessivo dell’intero sistema idroviario.
Pensare di valorizzare i cinque Navigli, i cinque raggi della ruota, senza mettere mano al perno centrale della raggiera, confinava questa proposta in un ambito ancora troppo “restaurativo”. Percepita come una cosa da bravi architetti ma che non coinvolgeva, né scatenava, grandi suggestioni e grandi speranze.
Senza il recupero della “fossa interna” in Milano, senza il ripristino dell’intero sistema dei Navigli, la proposta per il recupero dei Navigli superstiti non era sufficiente a scatenare nell’immaginario collettivo l’idea di un nuovo paesaggio e di una grande opera, in cui identificarsi, per riappropriarsi del passato e progettare la futura città.
Ecco il salto di qualità di questi anni. 
È bastato che alcuni di noi ponessero qualche anno fa il tema “Riaprire i Navigli si può”, per ricucire la ferita che era stata inferta a Milano con la loro chiusura, che l’opinione pubblica, insieme a quella accademica e scientifica, cogliesse il valore di una nuova prospettiva, superando vecchi scetticismi.
È bastato un referendum popolare, con un quesito neppure tanto chiaro, che 451.000 milanesi si schierassero dalla parte della loro riapertura.
Ed infine è stato sufficiente spiegare che la cosa più logica per riattivare l’intero sistema dovrà avvenire seguendo il senso dell’acqua, e quindi ricostruendoli partendo dalla Cassina de Pom’, lungo via Melchiorre Gioia, verso la “fossa interna” fino alla Darsena, per capire che non si tratta di un intervento di maquillage architettonico, ma strutturale, infrastrutturale, con uno straordinario valore alla grande scala urbana e regionale. 
Senza la riapertura della “fossa interna” l’intero Naviglio Martesana e il Naviglio di Paderno (ma neppure gli altri) non torneranno mai al loro rinnovato antico splendore e le funzioni che già Beltrame pensava per tutti i rami esterni non vedranno mai una loro piena realizzazione.
È la riapertura della “fossa interna”, che farà da motore alla riattivazione e riqualificazione dell’intero sistema. Senza la riapertura dei Navigli chiusi a Milano, quindi senza la ricostruzione dell’intero sistema, i rami esistenti potranno forse essere abbelliti, ma non ritroveranno mai una nuova vita.
Questa è la novità del nuovo approccio ed il senso della battaglia per ridare a Milano i suoi Navigli.

di Roberto Biscardini


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