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QUANDO C'ERANO I NAVIGLI di Salvatore Carrubba da Il Sole 24 Ore del 28 dicembre 2014

11 gennaio 2015

Proseguendo nel meritorio intento di salvare titoli significativi dall'oblio, la collana «La Biblioteca perduta» delle edizioni Il Polifilo ha appena riproposto uno scritto di uno dei maggiori studiosi di Milano, Giacomo C. Bascapè (che fu tra l'altro archivista dell'Ospedale Maggiore di Milano), dedicato alla fitta rete dei navigli milanesi, alla loro storia e alla descrizione della città come si era sviluppata lungo le loro rive.
L'opera, pubblicata nel 1949-1950 (forse qualche informazione in più su testo e autore risulterebbe utile al lettore), rappresenta un vero e proprio libro di storia milanese, per l'accuratezza della ricostruzione di un complesso di interventi che hanno definito il volto, la vocazione e lo stesso destino della città; oltre che un'appassionata guida a una Milano in gran parte scomparsa (di cui sono qui testimonianza le illustrazioni di Giannino Grossi), alla quale proprio la presenza e la vitalità dei navigli avevano contribuito a conferire un'identità unica. A leggere delle ambizioni che spinsero i differenti reggitori milanesi a intraprendere una complessa opera quale la rete dei Navigli, viene il sospetto di una certa malizia dell'editore a pubblicare questo peana alle acque di Milano a pochi mesi dall'apertura dell'Expo: questa appare piuttosto arrancare nel ruolo che all'inizio si era attribuito di volàno per il rilancio proprio delle vie d'acqua che dal capoluogo si dipartono e che furono alla base della rinascita e delle innovazioni agricole alle quali Milano deve, in primis, la propria ricchezza.
Impressionante è l'ambizione del disegno che spinse i milanesi a dotarsi di un patrimonio infrastrutturale perseguito con pervicacia per ragioni di sicurezza (e, infatti, anche ai Navigli, Milano deve di essere salvata dagli appetiti distruttivi di Federico II), di commercio, di apertura agli scambi. con scambi, di affermazione dell'autorità cittadina, di orgoglio civico (la costruzione del Duomo).
Leggendo il libro di Bascapè, si coglie appieno la commovente definizione che Cattaneo dava della Lombardia come di un grande deposito di fatiche, che si tradussero in innovazione e trasforrnazione di un territorio e di un'economia. E risulta mortificante il paragone coi tempi d'oggi, nei quali non solo non si riesce più a realizzare (quando ci riusciamo) in tempi meno che biblici qualunque infrastruttura.
Ma addirittura si teorizza la natura come una divinità benigna ma esigente che rifiuta ogni intervento dell'uomo.
Se all'epoca ci fossero stati i No-nav, oggi Milano sarebbe probabilmente un borgo di dimenticato e paludoso.
La commozione di Bascapè, ribadita dalle pagine iniziali sul padre naviglio di Alberto Vigevani, non può che riproporre l'annosa questione di un'eventuale riapertura dei navigli, trattati, conclude l'autore, come un "anziano domestico fedele ma ormai inutile". Interrare i Navigli, all'epoca, fu un tradimento a Milano; pensare di riaprirli del tutto, oggi, sarebbe un'illusione. Ma il dibattito non può esaurirsi qui, perché il tema del rapporto di Milano con l'acqua, coi fiumi che la circondano, coi laghi e col mare ai quali potrebbe congiungersi resta centrale nella sua vocazione, anche turistica e culturale, e dunque può contribuire a ridefinire il suo futuro.


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