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RIAPERTURA DEI NAVIGLI E IDEA DI CITTÀ di Giuseppe Zago del 20 luglio 2020

20 luglio 2020

Le trasformazioni del centro della città di Milano hanno, se messe in sequenza cronologicamente, un evidente disegno.

La città, a metà ottocento, era ancora largamente costituita da un impianto di origine medioevale, strade strette e edifici sicuramente obsoleti, inadatti a rappresentare la città moderna che Milano voleva iniziare ad interpretare.

I primi interventi sono proprio nel cuore della città antica, piazza Duomo e tutta l’area a nord tra la piazza, la Scala e Palazzo Marino. Il concorso sarà vinto dal progetto del Mengoni con la proposta di realizzare una grande e innovativa galleria di collegamento e, tra il 1865 e il 1873, si pone mano alla realizzazione del rifacimento del vecchio quartiere esistente e della intera piazza Duomo.

Con il piano Beruto, del 1884 (nella sua prima versione), si propongono nuovi interventi di trasformazione del centro storico e, a partire dal 1888, si avviano i lavori per l’apertura della Via Dante.

Altra “ferita” nella trama della viabilità medioevale, con conseguente demolizione dei vecchi edifici e realizzazione di nuovi palazzi che meglio rappresentano la nuova borghesia industriale che opera nella città.

Dopo questi interventi si prosegue con la demolizione del quartiere Bottonuto, a sud della piazza Duomo e, quasi contestualmente alla copertura dei Navigli e alla radicale trasformazione dell’edilizia che lungo essi esisteva, costituita per la gran parte di edifici modesti, depositi, o con attrezzature legate a ormai superate attività quali: movimentazione merci e macchinari, tramite le ruote dei mulini.

Questa tipologia di edifici erano giustificati dalla loro collocazione originaria, essere ai margini della città antica e lungo vie di trasporto merci ma, dopo l’espansione cinque/seicentesca, avvenuta con la realizzazione delle mura spagnole e, la ulteriore espansione, prevista con il piano Beruto si sono trovati ad essere in una zona estremamente privilegiata, cioè, ai limiti del centro storico e una edilizia quale quella esistente non aveva sicuramente più ragione di esistere.

La decisione di coprire i Navigli, alla luce di queste considerazioni è evidentemente una operazione immobiliare speculativa e non di natura igienica.

La ragione igienica è stata invocata per motivare un’operazione che era soprattutto immobiliare.

Questa ipotesi si dimostra considerando che, dal punto di vista igienico, sarebbe bastato coprire i canali e la questione era risolta ma, se si percorre il tracciato si trovano invece, sostituiti, la gran parte degli immobili; questi, risultano edificati proprio a seguito della chiusura e della “necessaria” riqualificazione dell’area, necessaria ai fini dell’innalzamento dei valori dei terreni, ora centrali, che venivano ampiamente valorizzati con le nuove edificazioni.

Non si può negare che lo sviluppo sempre più ampio dei trasporti su gomma abbia portato al declino dei trasporti via acqua, anche se il trasporto merci (spesso materiali per l’edilizia), sul naviglio Grande e alla Darsena, sia rimasto in funzione sino alla fine degli anni ‘70.

Quindi la ragione funzionale principale, trasporto merci nell’area centrale della città era decaduta e rendeva i Navigli obsoleti.  Considerati superflui, ormai, forse solo “romantici”, vedi anche la posizione dei Futuristi e di Marinetti in particolare, che, come riporta la lapide in suo onore, voleva “Uccidere il chiaro di luna rispecchiato nel Naviglio”.

Ora, novant’anni dopo, sappiamo che alcune idee avevano il fiato affannoso e corto, che la “modernità” non può prescindere da una stretta interdipendenza con la natura, che non si tratta di romanticherie ma, eventualmente, di salute.

La necessità ora, di restituire alla città ciò che le è stato improvvidamente tolto per mancanza di visione di lungo periodo è dovuto proprio alle conseguenze di questa esperienza.

Risulta sempre più evidente che, più le città si espandono, più hanno necessità di inglobare al proprio interno elementi naturali; Milano, città senza fiume e senza affaccio sul mare, ha potuto crescere e svilupparsi proprio per quella integrazione terra/acqua che, a partire dai romani si è sempre più sviluppata, disegnata e completata nel tempo.

L’acqua è vita, nessun luogo urbano sorge e prospera lontano da fonti di approvvigionamento idrico.

I canali poi, sono la sintesi perfetta tra elemento naturale e gestione della città, difficilmente esondano come i fiumi in piena, sono facilmente controllabili, difficilmente sono spinti da venti forti a spazzare spiagge o fronti edificati.

I canali sembrano la migliore espressione dello spirito di Milano, dare forma e utilità agli elementi naturali, inventare quello che c’è solo come materiale “informe”, l’acqua di falda, di piccoli fiumicelli e progettare, nel tempo una rete, una connessione con i laghi e con il nord, una connessione verso sud con il Po e il mare, allargare le proprie opportunità di relazione commerciale, di scambio merci e cultura.

La chiusura ha posto fine ad una funzione dei Navigli sicuramente superata ma, chi ha spinto per la chiusura non ha saputo leggere in quei canali la ricchezza di senso e valore altro, che essi racchiudevano e che, ora, è necessario restituire alla città.

Innanzitutto restituire la rete, cioè ricostituire quella ricca serie di relazione che la continuità dei Navigli può produrre nel rapporto, sempre fertile e necessario, tra città e campagna.

Ripensare l’idrografia e la fondamentale e necessaria gestione delle acque che esistono e, tuttora attraversano la città.

Ridisegnare una città fatta di reti differenti, strade a scorrimento veloce, strade locali, piste ciclabili, aree pedonali, rete di canali, il tutto intrecciato e costitutivo di una nuova forma di città, una città fatta di elementi differenti, che la caratterizzano e la arricchiscono, che la diversificano che superino l’idea di un’area indifferenziata, tutta sempre e solo carrabile, ovunque, senza limite e senza qualità.

Una rete che in qualche modo si intreccia, che “dialoga”, cioè che consenta la permeabilità tra livelli diversi.

Riaprire la cerchia interna dei Navigli, in vista anche di una maggiore apertura di gran parte del reticolo idrico esistente, ora intubato, prima di tutto, costringerebbe ad un vero ripensamento/ridisegno e riprogettazione della città nel suo complesso. Viabilità, vivibilità, aspetto complessivo, gestione e controllo delle acque, qualità urbana ridefinendo il disegno dei canali, dei percorsi lungo gli stessi, con passeggiate che attraversano la città creando una rete di transito lento che struttura tutta la città.

Un’idea di città che sicuramente guarda ad un orizzonte temporale molto più ampio, una maggiore presenza d’acqua potrebbe aiutare a temperare l’effetto “isola di calore”, a definire una rete sensata e gradevole di percorsi ciclopedonali che potrebbero fare da trama strutturata che consentirebbe di raggiungere, in maniera protetta, quasi tutte le diverse zone della città, disegnando piste ciclabili solo su alcuni tracciati e avere un reticolo “lento” già naturalmente accogliente per una “mobilità dolce” sempre più fondamentale e necessaria per ridurre l’inquinamento atmosferico.

Realizzare piste ciclabili aiuta ma, tracciate, anche in sede protetta lungo vie di transito veloce e con grossi flussi di traffico non stimolano e non incentivano moltissimo l’uso della bicicletta, una rete di canali con strade, magari alberate, disegnate appositamente per una mobilità senz’auto, sarebbe proprio il progetto necessario e innovativo che guarda, come ha sempre fatto Milano, nelle sue fasi migliori, lontano.





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