Riaprire i Navigli
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"RIAPRIRE I NAVIGLI - RIFACCIAMO MILANO CON L'ACQUA". Atti del Convegno, 15 giugno 2013, Milano, Palazzo Marino

15 giugno 2013

Indice degli Interventi:
- Basilio RIZZO, Presidente del Consiglio Comunale di Milano
- Roberto BISCARDINI, Presidente dell'Associazione Riaprire i Navigli
- Ada Lucia DE CESARIS, Vicesindaco e Assessore all'Urbanistica di Milano
- Sonia CANTONI, Consigliere della Fondazione Cariplo
- Simonpaolo BUONGIARDINO, Amministratore di Confcommercio Imprese per l'Italia
- Franco ISEPPI, Presidente del Touring Club Italiano
- Antonello BOATTI, Docente del Politecnico di Milano
- Philippe DAVERIO, Storico dell'arte

- Antonio MIGLIACCI, Docente del Politecnico
- Giorgio GOGGI, Docente del Politecnico di Milano
- Andrea CASSONE, Vice Presidente dell'Associazione Riaprire i Navigli


Roberto BISCARDINI, Presidente dell'Associazione Riaprire i Navigli

Quando intorno al 2007-2008, 5 o 6 anni fa insieme all’architetto Andrea Cassone, decidemmo in facoltà di Architettura, nel corso di qualità urbana, insieme a un gruppo di studenti, alcuni di loro sono qua, di iniziare una prima verifica di fattibilità sulla riapertura dei Navigli dalla Cassina de’ Pom alla Darsena eravamo ancora nel campo delle prime ipotesi e dei primi approfondimenti.
Ma quando dopo due anni di studi decidemmo di tirare le somme pubblicammo un quaderno che era insieme una sfida e una convinzione dal titolo: “Riaprire i Navigli si può”. E la dicemmo così, si può dal punto di vista urbanistico, architettonico, ingegneristico, trasportistico e finanziario.
Ma a quel punto bisognava fare di più, passare dalle parole, o meglio dai disegni ai fatti.
Fuori dall’Università ci siamo quindi messi a studiare di nuovo e a sviscerare le prime difficoltà. Abbiamo contemporaneamente cercato i primi sostenitori, abbiamo individuato un primo gruppo di pionieri, che via via è andato sempre più allargandosi.
A quel punto abbiamo deciso di riunirci e di dar vita all’Associazione Riaprire i Navigli. Quella che oggi organizza questo convegno, come punto di partenza, per trovare nuove forze, mettere insieme le idee migliori, coordinare punti di vista e professionalità diverse.
Con questa Associazione ci siamo assegnati un’ obiettivo tanto ambizioso quanto pratico e concreto: individuare il percorso per arrivare alla meta in tempi relativamente brevi e riaprire i Navigli sul serio.
Non a caso, lo scopo dell’Associazione, indicato nel piccolo depliant che è stato distribuito oggi, con il compito anche banale di far capire a tutti, dai più anziani ai più giovani, di cosa stiamo parlando, (guardate che il livello di disinformazione è altissimo, pochi
sanno dov’erano i Navigli e persino dove passano), dicevo non a caso scopo della nostra associazione è promuovere la riapertura e la ricostruzione dei Navigli in Milano nel più breve tempo possibile e con la massima partecipazione delle istituzioni e della popolazione.
E’ far conoscere il progetto fin qui ideato, raccogliere tutti i consigli utili al suo perfezionamento.
E’ definire i criteri di indirizzo sulla base delle quali la riapertura dei Navigli dovrà essere realizzata.
E’ definire le procedure per l’attuazione delle opere e per la gestione dei Navigli una volta che saranno terminati.
Insomma, ci siamo mossi con quell’atteggiamento coraggioso e sicuro che bisogna avere in questi casi, pronti a superare ogni ostacolo che potremmo trovare sul percorso.
Ma partendo da alcune convinzioni che il lavoro fin qui svolto già oggi ci consente di fare:
– riaprire i Navigli si può, si può aprirli tutti per circa 8 chilometri da Cassina de Pom lungo via
Melchiorre Gioia, che cambierà il suo attuale volto, poi lungo la Fossa Interna della cerchia fino alla Darsena
- si dovranno aprire tutti e non a pezzi, seguendo il senso dell’acqua da nord a sud, in un unico lotto di lavori o in due si vedrà. Prima Melchiorre Gioia fino al ponte delle Gabelle e poi da lì a San Marco fino alla Darsena, o viceversa, prima la Fossa interna e poi Melchiorre
Gioia. Si può fare una cosa come l’altra, ma si deciderà sulla base delle valutazioni più congeniali alla risoluzione di tutti i problemi idraulici. Soluzioni entrambe possibili, pur nella consapevolezza che le istituzioni, e Milano per prima, insieme alla Regione, dovrebbero affrontare definitivamente e con
urgenza il problema del Seveso. I danni che esso può provocare e che ha già provocato sono molto maggiori dei costi delle opere necessarie per risolvere il pericolo delle esondazioni.
- riaprire i Navigli a Milano per realizzare un’opera che interessa tutta la Regione. Essi infatti rappresentano il nucleo centrale del grande sistema dei Navigli lombardi, senza il quale tutti i Navigli esterni perdono di potenzialità, così com’è stato in questo lungo passato. Senza il Naviglio urbano i Navigli esterni non saranno mai
riqualificati appieno e non riscopriranno mai il fascino complessivo di una navigabilità che si estende solo in Lombardia per più di 150  chilometri.
- è il primo passo per costruire un’idea di Milano città d’acqua, l’idea di una nuova Milano, aperta al mondo e quindi giovane.
- per costruire un nuovo paesaggio urbano attraverso un’opera di grande valore ambientale.
- per restituire e riconquistare alla città un nuovo grande spazio pubblico, con le sue propaggini nei quartieri limitrofi, occasione per nuove funzioni.
- per costruire nuove possibilità economiche e di lavoro, a partire da quelle del settore turistico. Realizzando nuove modernità intorno al fascino e alla bellezza dell’acqua, ben sapendo che proprio sul terreno della qualità è l’offerta che genera la domanda e non basta il viceversa.
– infine è un’opera di grande civiltà, che mette Milano al pari di ciò che è avvenuto e sta avvenendo in molte città europee dove si riscopre il valore dell’acqua e dei canali, si aprono fiumi per lungo tempo intubati. Si costruisce il nuovo paesaggio urbano intorno all’acqua. E noi che
avevamo l’acqua ce ne siamo dimenticati.
- una città nuova e moderna, che come ci insegna bene Andrea Carandini, sa costruire il futuro più efficace e meno effimero a partire dal suo passato, nella civiltà delle sue radici e non nella loro cancellazione.
Ecco perché diversamente dal nostro primo appuntamento dell’ottobre scorso, dove abbiamo messo a confronto tecnici ed esperti di diversi settori, oggi vogliamo dire a Milano, alla sua giunta e alla politica che si può rifare Milano con l’acqua.
Anzi, abbiamo capito nel lavoro di questi mesi che si è persa la memoria storica, si è persa persino la documentazione, non c’è nessuna istituzione, per altro competente, che abbia una documentazione efficace del sistema idrico milanese, del suo passato e del suo presente. A questo proposito, vogliamo proporre che proprio dal lavoro che stiamo facendo possa nascere per iniziativa del Comune un vero e proprio Archivio della Milano città d’acqua, da progettare e realizzare nei prossimi tempi.
Riconoscendo a questa Amministrazione comunale e all’Assessore all’Urbanistica De Cesaris in particolare, di aver dato una grossa mano per rafforzare l’idea della riapertura dei Navigli, sia con l’inserimento di questo progetto nel PGT e sia con la convenzione appena stipulata con il Politecnico di Milano incaricato di definire le attività preliminare ad uno studio di fattibilità, oggi con questo nostro incontro, vogliamo far presente alle istituzioni che, se nel 1929  in piena era fascista il Comune predispose un piano finanziario per la copertura dei Navigli chiamando a contribuire i proprietari di immobili prospicienti la fossa interna, adesso per riaprirli si può fare di più con molti meno sforzi.
Noi, impegnati a costruire le condizioni per realizzare questa grande opera, alle amministrazioni, e in particolare al Comune di Milano chiederemo soprattutto capacità decisionali e non soldi.
Chiederemo di assecondare questo progetto con decisione, almeno nelle sue linee essenziali, chiederemo di incoraggiare tutti coloro che hanno deciso di lavorarci anche gratuitamente. E una volta definiti i criteri progettuali, che siamo impegnati a studiare e a presentare al Comune nei prossimi mesi, si individui il percorso migliore per arrivare alla progettazione definitiva e alla realizzazione delle opere. Il Comune si metta con noi a studiare le procedure di coordinamento decisionale e più semplicemente individui fin da ora le procedure speciali per la sua realizzazione e per la sua gestione futura.
Nei momenti di crisi si può avere l’ambizione di pensare alle grandi opere e si possono persino realizzarle, anche mobilitando risorse private e risorse popolari, se il percorso è chiaro.
Un’opera come questa, e cioè i Navigli ricostruiti secondo noi all’interno del loro antico alveo, ha dei costi relativamente bassi, ma se vogliamo trovare degli investitori, anche privati, non si può rischiare il suo fallimento per i tempi ordinari e troppo lunghi della Pubblica Amministrazione.
Chi vuol fare, può metterci del suo, come i cittadini possono anche collaborare, anche finanziariamente, possono darsi da fare per superare ogni ostacolo, ma non è disposto a pagare il prezzo della lievitazione dei costi che si determinano per le lungaggini delle burocrazie.
Con amministrazioni e uffici pubblici, spesso senza anima, che sembrano a volte più impegnati a creare difficoltà anziché risolverle e a complicare processi anziché semplificarli, non si realizzano grandi opere.
I Navigli si possono realizzare in tempi brevi e a costi relativamente contenuti se le procedure saranno speciali. Si può utilizzare il metodo del project financing, così come si possono studiare soluzioni, e lo faremo.
Ma la risposta è già nelle cose: perché l’Expo che ha un costo almeno 20 volte superiore a quello dei Navigli può essere realizzato in così poco tempo? Da qui al 2015. Perché ha dalla sua una procedura speciale che lo sorregge.
Le procedure per l’attuazione e per la gestione dei futuri Navigli rappresenteranno un tassello decisivo, nella cornice dell’impostazione strategica del progetto che la nostra Associazione sta cercando di delineare.
Insomma, si puo’ fare tutto, anche un’opera complessa come questa, se la politica ci crede.
A questo proposito ricordo ancora una volta, senza mai stancarmi di ripeterlo l’esempio e la storia del canale du Midì, quando, a metà del Seicento, Pierre Paul Riquet andò da Luigi XIV a chiedere di realizzare un canale che collegava il mediterraneo all’atlantico. Non gli chiese i soldi ma
l’autorizzazione a fare. Oggi si direbbe ottenne la concessione per fare quella grande opera in project financing. Il Re ci mise la faccia e Colbert, ministro delle finanze incaricato dal Re, diede a Riquet l’autorizzazione a farlo.
Di questo c’è bisogno anche oggi, e soprattutto per opere come questa, c’è bisogno di un vero decisionismo, che non vuol dire decidere da soli con arroganza, ma decidere e decidere in fretta.
E vuol dire che, a fronte di un forte convincimento politico, si devono trovare le forme perché la struttura amministrativa dello Stato, in questo caso del Comune e della Regione soprattutto, decida e operi in quella direzione per raggiungere quell’obiettivo in tempi certi, vuol dire che la politica persino si ponga il problema di riorganizzare le sue strutture per essere efficiente e operare in tempi brevi.
Una nuova stagione del nuovo decisionismo che va capita adesso e subito, affinché non si corra il rischio di lavorare oggi per progettare nel dettaglio, per dipanare ogni difficoltà, per individuare ogni piccolo o grande punto critico, per risolvere ogni aspetto di un’opera che è insieme complessa e dal punto di vista disciplinare integrata e complessiva, per poi trovarci bloccati o rallentati dai tempi e dall’organizzazione di una macchina amministrativa che non è pronta a organizzarsi per affrontare un progetto di questa natura.
La nostra Associazione e tanti in città, cittadini e professionisti, che stanno facendo proprio lo spirito di Riquet, chiedono a questa amministrazione come alle altre che ci si attrezzi fin da subito e si trovino gli strumenti semplificati e convincenti paragonabili a quelli che Colbert insieme al Re Sole trovarono per consentire a Riquet di fare il Canal du Midi. Anche se volendo potrei fare molti esempi attuali dei modi di agire di altre città europee oggi.
Questo è un grande progetto per ridare a Milano una nuova anima, ci crediamo e siamo convinti che si possono trovare anche le risorse finanziarie per farlo. Quando penso che 450 mila cittadini di Milano hanno già votato un referendum a favore di questa opera, mi convinco che si può lanciare una grande sottoscrizione popolare che coinvolga loro, come aziende, banche e investitori milanesi. Se 450 mila cittadini fossero disposti a devolvere almeno 5 euro, è certamente poco, ma sarebbe già un passo avanti nella direzione giusta.

Antonello BOATTI, Docente del Politecnico di Milano

http://posta.libero.it/cp/ps/Mail/huge/pickup?a=ZOUI5OD4GBCGVGQNY2YZO352&b=4342482d3d


Giorgio GOGGI, Docente del Politecnico di Milano
Sarebbe stato molto interessante avere con noi Alice Ingold, se non altro per approfondire il suo parere su quelli, come noi, che vogliono riaprire i Navigli.
Un parere che traspare come di simpatia ma mista a scetticismo, non a caso ci ammonisce che “avere un canale sotto casa non è la stessa cosa nel 1930 e nel 2000”.
Questo mi offre lo spunto per fare qualche riflessione critica proprio partendo dal suo libro “Negocier la ville” in cui, trattando delle vicende della copertura del Naviglio, ci offre una grande messe di documenti dell’epoca.
Questi documenti ci consentono di sfatare pregiudizi consolidati, capire molto di più sulla vicenda e trarne insegnamenti per il nostro fare.
Quando si parla della riapertura dei Navigli molti ricordano la pessime condizioni igieniche dei Navigli antichi: la puzza, le zanzare, i topi e temono che tutto questo possa tornare.
In realtà incorrono in un curioso effetto di deformazione della prospettiva storica.
Infatti, questo era vero fino agli anni ’80 dell’Ottocento, quando sui canali sboccavano scarichi fognari abusivi e l’insabbiamento del fondo creava ristagni d’acqua; ma dal 1885 al 1892 il Genio Civile aveva provveduto a cementare il fondo dei canali, ristabilendo le pendenze, e tutti gli scarichi erano stati ricondotti in fognatura.
Quando si decise di coprirli, i Navigli erano percorsi da acqua limpida e corrente, non a caso la Ingold definisce quello della copertura come un “progetto anacronistico”.
Tuttavia il regime, che voleva coprire i Navigli ad ogni costo (si pensi che i lavori iniziarono un anno prima della dichiarazione di pubblica utilità), per giustificarne la necessità, usava ed abusava dei supposti problemi igienici e sanitari con una propaganda pressante, cui pochi si opposero a quel tempo e che -purtroppo- mostra i suoi effetti anche oggi.
Ma Ingold ci dice anche che noi vediamo oggi il dissenso di allora nei confronti della copertura dei Navigli attraverso uno “specchio deformante”.
Infatti il consenso verso la copertura era molto più largo di quanto ora siamo disposti a credere.
Esisteva un “Comitato pro-copertura” costituito nel 1925 ad opera di ingegneri e proprietari fondiari, comitato che era in grado di proporre i propri progetti anche in alternativa a quelli della Municipalità.
Le voci di chi si opponeva, come il gruppo di cittadini rappresentati dall’ing. Bay autore di una petizione per il mantenimento -parziale- della fossa interna, sembra fossero piuttosto isolate. Anche in seno alla Commissione Edilizia l’unico che votò contro la copertura fu il pittore Carlo Carrà, gli atri membri, architetti come Arpago Novello, Calzecchi, Portaluppi e lo scultore Wildt, erano a favore di una chiusura parziale o graduale, ma non contrari.
Anche gli oppositori del progetto pensavano che il mantenimento di tutti i canali fosse impossibile e premevano per conservarne solo alcuni tratti.
Ingold parla di “fallimento della comunità urbana di difendere l’immagine simbolica della città”. Ed è questo il punto: il problema del Naviglio era visto allora non sotto l’aspetto simbolico e architettonico, ma sotto l’aspetto patrimoniale.
I Navigli, non più necessari per la navigazione, erano un patrimonio pubblico che doveva essere sfruttato, messo a reddito. Le proprietà immobiliari frontiste erano anch’esse un patrimonio -privato- suscettibile di un cospicuo incremento di valore con l’eliminazione dei canali.
Peraltro, la totale mancanza di prese di posizione degli utenti dei canali dimostra che la loro utilizzazione pratica era ormai pienamente declinata, restava quindi solo l’aspetto patrimoniale.
Sul piano simbolico, la debole percezione che i milanesi avevano del paesaggio urbano, e della sua immagine, fu battuta da un’altra visione opposta e vincente: una visione ingannevole, ma proiettata verso il futuro.
Questa la visione prospettata dal regime: una larga strada per il transito dei mezzi motorizzati, simbolo di modernità, di velocità, di movimento, di sviluppo economico. Così la forza simbolica di un’effimera modernità s’impose sull’immagine identitaria della città. Una visione quasi futurista cui ben pochi seppero resistere. (Si accorsero subito dopo che il rumore del traffico superava qualsiasi inconveniente causato dai Navigli, ma era troppo tardi).
Gli interessi immobiliari supportarono validamente questa visione e, quando fu consentita l’urbanizzazione dei giardini, anche i pochi contrari trovarono concreti motivi per desistere.
Come può essere vincente oggi la nostra volontà di riaprire i Navigli?
La vicenda passata ci mostra che una visione in cui i cittadini si riconoscano -come fu anche quella sbagliata imposta dal fascismo a Milano- è più potente dei motivi utilitari ed anche di quelli culturali.
Ed è soprattutto una visione quella che noi vogliamo proporre con la riapertura: una visione proiettata verso il futuro.
Un visione non effimera, non nostalgica, che non proponga un progetto anacronistico, ma che promuova un nuovo modo di vivere la città in cui i milanesi si riconoscano, nuovo sviluppo, nuove opportunità.
Sappiamo bene che non possiamo pensare di ricostruire la Milano ottocentesca dei Navigli, fatta salva la necessità di restaurare i monumenti, quindi dobbiamo pensare alla nuova forma che vogliamo dare alla città degli anni a venire.
Il contesto della riapertura oggi non è “ricostruire”, bensì “costruire” nuovo paesaggio per Milano e opportunità di nuovo sviluppo per la città.
Solo costruendo responsabilmente e coraggiosamente nuovo paesaggio e trasformando la città potremo avviare un circolo virtuoso che proietti Milano su nuovi mercati (per esempio verso il mercato mondiale del tempo libero cui ci può far accedere il sistema regionale dei canali e di tutto quanto vi sarà connesso).
Dobbiamo produrre una nuova forma che migliori la qualità della vita dei cittadini e che poggi su una solida immagine simbolica del paesaggio.
Insieme al nuovo paesaggio dobbiamo pensare nuove attività, nuove funzioni. Anche nuovi tipi di sfruttamento utilitario dell’acqua: per i trasporti turistici, per la produzione energetica, per l’equilibrio idraulico del bacino milanese, oggi molto fragile.
Anche gli interessi immobiliari giocheranno a favore della città nel suo complesso, lungo il canale gli immobili si rivaluteranno, dando un poco di respiro ad un mercato oggi stagnante. Si verificherà inoltre quello che ognuno può vedere sui tracciati delle nuove metropolitane o nelle zone pedonalizzate, il maggior valore acquistato dagli immobili viene trasferito in riqualificazione e rinnovo degli stessi e delle attività commerciali presenti e, quindi, in miglioramento del paesaggio urbano.
Se riusciremo a fare questo, i Navigli rivivranno e non solo a Milano, ma su tutta la rete idroviaria lombarda che verrà finalmente riconnessa. Avere un canale in città non sarà la stessa cosa del 1930, ma sarà comunque molto meglio per Milano e per i suoi cittadini.


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