Riaprire i Navigli
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"RIAPRIRE I NAVIGLI - UN GRANDE PROGETTO PER MILANO, LA LOMBARDIA E I SUOI PAESAGGI". Atti del convegno, 20 ottobre 2012, Milano, Teatro Elfo-Puccini. Parte 2.

20 ottobre 2012

Indice degli interventi - Parte 2
Roberto BISCARDINI – Presidente Associazione Riaprire i Navigli
Roberto CAMAGNI – Professore di economia Urbana – Politecnico di Milano
Antonello BOATTI – Professore di Urbanistica – Politecnico di Milano
Maurizio BROWN - Direttore acque Reflue di MM Metropolitana Milanese
Pier Giuseppe TORRANI - Presidente AIM - Associazione Interessi Metropolitani
Roberto BISCARDINI – Presidente Associazione Riaprire i Navigli
Andrea CASSONE Vice Presidente Associazione Riaprire i Navigli,Coprogettista del progetto di Riapertura dei Navigli


Roberto BISCARDINI – Presidente Associazione Riaprire i Navigli
Ringrazio il dottor Maurizio Biondi di Assolombarda che conclude gli interventi di natura economica ed entriamo nella parte del convegno dedicata alle questioni più architettoniche e urbanistiche del progetto. Consentitemi di dire però solo due cose a Maran e a Colucci prima che per altri impegni ci debbano lasciare, aggiungendo che li ringraziamo per essere stati qui con noi fino a questo momento. Primo, è finora emersa con chiarezza l’idea forza che sta alla base del nostro progetto. L’idea di città che sottostà al progetto della riapertura dei Navigli è la città dei 9 milioni di abitanti della Lombardia, e non degli 80 mila abitanti del centro storico di Milano, ma neppure del milione e 300 mila abitanti della città di Milano. I 9 milioni di abitanti della Lombardia, di cittadini lombardi, che stanno dentro quel mix di diversificate città e diversificate campagne, operosi in diversificate attività produttive. La seconda: Biondi ha colto perfettamente una questione a noi cara. Una questione fondamentale. Il progetto della riapertura dei Navigli è un progetto per il futuro, per come ci immaginiamo debba essere Milano in futuro. Purtroppo non siamo molto abituati a parlare e a confrontarci sulla città futura, anzi viviamo in una città e in una fase storica e politica in cui non c’è dibattito serio e approfondito sul divenire possibile e auspicabile della nostra città. Dobbiamo dirlo con assoluta chiarezza. Infatti se da un lato è evidente che superata la straordinaria fase che caratterizzò Milano per le trasformazioni dal sistema industriale verso il terziario produttivo degli anni ‘80 e ’90, sarà anche superata la fase nella quale ci siamo malauguratamente infilati nei decenni successivi, quella sostanzialmente immobiliarista, d’altra parte nessuno discute di quale città vorrebbe per il futuro. Non c’è un’idea della città futura. Una cosa è certa: la città prossima ventura non sarà terziaria e basta, e non sarà immobiliarista.
Io mi auguro che possa essere, così rispondo a Biondi, una città produttiva, assai diversificata, dentro un ciclo di trasformazioni che ci auguriamo le più virtuose possibili. E ciò vale anche per il centro storico che non può essere considerato, così come non lo è mai stato, una zona morta della città. E mi auguro che Milano possa essere tutta più bella, una città più attraente e di grande attrattività.
Riaprire i Navigli nel centro storico, non vuole dire pensare ad una area centrale fatta di pizzi e merletti, un centro storico solo di turisti con lo zainetto in spalla, più qualche cittadino che va in bicicletta. No, penso che anche con i nuovi Navigli il centro storico possa essere il luogo di attività economiche e di attività produttive nuove, da favorire con ogni mezzo, senza deprimere quelle esistenti. Per questo contiamo molto sulla collaborazione di Assolombarda.
Scusate se, facendo riferimento alla carica di presidente della commissione urbanistica del Comune di Milano, mi permetto di ricordare che abbiamo posto questa questione non più tardi di qualche mese fa e ne anche abbiamo discusso in sede di PGT, seppur con poco successo. Ma quante volte ci siamo posti il problema di una città che si interessi meno di edilizia residenziale per affrontare più seriamente la questione del lavoro e delle nostre attività economiche e produttive? Infatti non si capisce perché si abbia ancora un piano con incentivi volumetrici per la residenza e in un momento come questo di profonda crisi economica non si debbano studiare nuove forme per favorire la produzione, senza creare troppi ostacoli alle nuove iniziative imprenditoriali. Ma purtroppo da tempo in tutta Italia nei piani regolatori e nelle previsioni urbanistiche l’industria non va di moda e non porta voti. Da questo punto di vista persino l’IMU è fonte di sperequazioni e ingiustizie.
L’ultima cosa, e ritorno sul progetto Navigli, la nostra Associazione non ha voluto fare polemica con Expo, perché quando abbiamo iniziato questo percorso Expo era ormai avviata ed è giusto che vada avanti nel migliore dei modi. Non c’è dubbio però che il progetto delle vie d’acqua di Expo è completamente diverso dal progetto di riapertura dei Navigli. I due progetti non vanno assolutamente confusi. Piero Bassetti, che è ancora un lucido personaggio della politica milanese, un giorno disse “ma perché si mettono a fare i Navigli finti anziché rifare i Navigli veri?” Beh è una battuta semplice ma che sintetizza bene la differenza fra le due cose. E per dirla tutta se non si fossero destinate delle risorse per un corso d’acqua finto e si fossero invece dirottate questi milioni sull’avvio della riapertura della fossa interna dei vecchi Navigli avremmo con l’occasione dell’Expo lasciato a Milano una vera grande opera. Cosicché l’Expo del 2015 sarebbe stata ricordata come un grande evento.
Da questo punto di vista il progetto dei Navigli che oggi presentiamo nelle sue linee essenziali lo immaginiamo come nuova fonte di sviluppo di attività per la Milano del futuro. Non come un arricchimento formale o peggio ancora decorativo di un centro storico immobile. Guai se fosse così. La riapertura dei Navigli sarà l’unica vera opera pubblica che si realizza nel centro storico della città dopo decenni in cui non ci sono stati interventi di trasformazione urbanistica.
A questo punto è giusto dare la parola a Roberto Camagni, professore al Politecnico di Milano, economista ed esperto di economia urbana.

Roberto CAMAGNI – Professore di economia Urbana – Politecnico di Milano
Grazie, vorrei cominciare riprendendo una battuta su quanto è stato detto dall’oratore che mi ha preceduto su come si misura la qualità urbana di un progetto. Io la misurerei considerando la dimensione degli spazi pubblici che il progetto mette a disposizione della città e dei cittadini. E’ un tema questo molto delicato e la recente tradizione di governo del territorio su questo tema è stata piuttosto carente, al di là di qualche dichiarazione di intenti rimasta poi sulla carta.
Che cosa ci ha guadagnato la città dalle enormi trasformazioni immobiliari degli ultimi 15 anni? Dove sono gli spazi pubblici? Se passiamo sul ponte di porta Vittoria, ma anche nell’area Garibaldi-Repubblica dove i grattacieli tutti vicini l’uno all’altro non lasciano spazio nemmeno per parcheggiare il mio “vespino”.
Se consideriamo il grande, positivo, sviluppo immobiliare e le microtrasformazioni avvenute, a oneri praticamente zero, senza pagare standard di nessun tipo, ci rendiamo conto di quale gigantesca occasione sprecata Milano si è lasciata alle spalle.
E veniamo al tema di oggi: i Navigli. Anch’io come il collega Goggi non sono mai stato particolarmente attratto da questo messaggio e quando recentemente alcuni amici di lunga data mi hanno stimolato a dare un’occhiata al progetto di riapertura dei navigli, beh devo dire piano piano sono passato dalla curiosità all’interesse ed alla convinzione su un progetto di questo genere. Ma perché?
Perché secondo me è il momento di dare un segnale di inversione nelle politiche urbane e urbanistiche della nostra città, perché da troppo tempo la città è cresciuta nel disinteresse.
Lo diceva anche il grande scrittore Carlo Emilio Gadda a fine anni 50, diceva Milano non ha mai avuto la premonizione della sua grandezza, è cresciuta come una ragazzona demente di campagna a suon di polenta e di busse.
Mentre a mio avviso Milano deve avere una visione, e secondo me il vero tema è di riflettere su quale è la visione che oggi Milano può darsi.
Lo diceva Biscardini poco fa, nel dopoguerra siamo passati da tre grandi periodi. Il periodo ricostruzione e sviluppo, la Milano operosa e operaia manifatturiera, capitale economica, una città con un’anima sicuramente. Siamo passati dopo la crisi della metà degli anni 70 a un nuovo rilancio. Gli anni 80 sono stati gli anni in cui Milano cresceva più della Lombardia, la Lombardia cresceva più dell’Italia, non è mai avvenuto nei 20 anni precedenti e negli anni successivi. Gli anni 80 fino alla prima metà degli anni 90 sono stati gli anni della Milano da bere, della Milano terziaria della finanza, delle professioni, della moda, della tv commerciale, della creatività e della cultura. In uno studio che facemmo per Milano negli anni 80 emerse che Milano era la capitale dell’Europa meridionale e non ce ne eravamo accorti. Bene da quel momento piano piano siamo arretrati, oggi le classifiche dell’attrattività milanese per i grandi investitori internazionali ci colloca al decimo – dodicesimo posto. Allora eravamo al terzo posto dopo le città mondiali Parigi e Londra.
Il terzo periodo è stato il periodo che qualcuno ha chiamato dell’alluvione immobiliarista che ha interessato tutta l’Italia, ma Milano in particolare. E bisogna riflettere su che cosa ci ha guadagnato la città da questo modello di sviluppo e trasformazione. Perché è difficile dire quali sono stati i vantaggi pubblici dei grandi progetti, (a parte appunto la fiera esterna che però è stata una occasione per fare un po’ di speculazione sulla fiera interna). Che cosa ha ottenuto la città dai grandi progetti pubblici di cui si favoleggiava? Niente e in termini di spazi pubblici, molto poco.
Qualche osservatore molto cattivo ha detto siamo passati dalla Milano da bere alla Milano da vomitare e insomma aveva qualche ragione.
Ecco io dico che oggi dobbiamo dare un messaggio nuovo ed una sferzata forte, dobbiamo passare alla Milano da vivere di cui ci siamo un po’ dimenticati. Attenzione quanti di noi sono entrati in questa forma mentis, stiamo a Milano perché qui si lavora bene, ma se possiamo ce ne andiamo, ci dimentichiamo della nostra matrice e devo dire manca una nuova visione.
Soprattutto questa amministrazione deve impegnarsi in questo senso. Il PGT, purtroppo, siamo stati obbligati a rifarlo sulla base di quello che già c’era, abbiamo evitato una seconda ondata speculativa bloccando il “volo” dei diritti edificatori distribuiti dal parco sud sul centro della città, ma non basta. Ci vuole una visione e la visione dobbiamo costruirla bene.
Ed un progetto come questo è un’occasione da non perdere. Se la visione deve essere in larga misura basata sulla vivibilità, osserviamo cosa sta accadendo nelle grandi città grandi e medie città d’Europa. La lifeability, la vivibilità sta diventando il leit motiv e vediamo che tra l’altro ci riescono bene anche perché tassano molto più di noi le trasformazioni e non la casa. Non l’IMU, sacrosanta, ma la trasformazione. L’IMU colpisce il cittadino che già ha pagato 7000 euro al metro quadro per un appartamento in periferia che oggi si è anche deprezzato. Ha già pagato la rendita fondiaria e adesso si trova a dover pagare l’IMU.
Al contrario, si è dimenticato che il momento in cui la rendita si forma è attraverso la trasformazione urbana che non è stata adeguatamente suddivisa tra pubblico e privato. Bene, questo del progetto dei Navigli può darci una occasione per cambiare la fruizione della città, una occasione per riqualificare e ricostruire un ricco laboratorio culturale e progettuale per la città, e questo è un suggerimento che è venuto da una delle relazioni.
Ad esempio, attraverso i Navigli noi possiamo portare la campagna in città. Bene anche se io non penso che il Naviglio sarà una infrastruttura di trasporto, però credo che possa prevedere un trasporto leggero di tipo turistico, ma anche per un trasporto agricolo, pensiamo alla possibilità di costruire farm markrt in città attraverso magari un link diretto ed ecologico fra la campagna e la città.
C’è una città negli Stati Uniti che è Portland nell’Oregon che si è rilanciata in larghissima misura attraverso il blocco dell’urbanizzazione periferica. Ha posto un limite all’urbanizzazione, ha salvato le fasce iperurbane con una agricoltura ricchissima e ha rilanciato il centro con una serie di riutilizzi di piazze per farm market, nuova ristorazione etc e sta diventando un polo di attrazione gastronomico nella costa orientale e non solo quella, ci si va a fare il week end come da noi si va a fare il week end a Bilbao perché è diventato di moda.
Bene vediamo allora quali potrebbero essere i le risorse e i processi valutativi che dobbiamo mettere in atto per far camminare il progetto, già il progetto ha una sua strutturazione ingegneristica e anche come abbiamo visto di valutazione iniziale di costi.
Sarebbe poi interessante fare due successive valutazioni, la prima una valutazione di tipo economico pubblico, i costi valgono i benefici? Conviene mettere questi soldi per realizzare il progetto? Vale la pena toglierli da qualche altro progetto e metterli su questo progetto?
E’ una questione di costo ed opportunità, a quali opportunità rinunciamo per fare il nostro progetto? Questa è una valutazione di tipo pubblicistico, che cosa ci guadagna la città rispetto a quello che spende rinunciando a utilizzare i soldini per altri investimenti di tipo pubblico.
E qui ci sono dei metodi molto chiari, molto precisi di monetizzazione del vantaggio collettivo. Li abbiamo utilizzati proprio pioneristicamente per valutare i benefici di un grande progetto urbano come dire simile dal punto di vista economico a questo, l’ipotesi di interramento della ferrovia del Brennero a Trento, la ferrovia spacca in due la città c’è una terra di nessuno fra la ferrovia e l’Adige qualcuno ha proposto questo bell’intervento, i costi li sappiamo. I benefici li abbiamo potuti valutare attraverso questi nuovi metodi di hedonic pricing. Il fatto che ci sia un vantaggio pubblico non significa che ci siano le risorse e allora quali risorse si possono portare facendo lo sforzo di farle nascere dal progetto più che portarle via da altre utilizzazioni.
Ci sono due opportunità. Prima, la possibile tassazione degli incrementi di valore immobiliare lungo l’affaccio più o meno diretto sulla nuova opera. Non abbiamo più una legge nazionale che ci possa aiutare come ci aveva aiutato ad esempio per la linea 1 della metropolitana che abbiamo finanziato in parte con la tassa sugli incrementi di valore, ma lavorando bene con il catasto è possibile recuperare certamente una parte almeno dei capital gain che ottengono i privati attraverso la costruzione di una infrastruttura pubblica come questa.
Seconda, si possono realizzare accordi di partenariato nelle trasformazioni, in alcune aree saranno possibili ingenti e significative trasformazioni, anzi sono quelle che noi vogliamo spingere attraverso questo tipo di intervento, bene, qui si tratta di imparare a negoziare. L’urbanistica è ormai negoziata, ce lo hanno detto da quindici anni a Milano e le negoziazioni sono state veramente al ribasso, nella ripartizione del plusvalore che deriva dalla trasformazione tra pubblico e privato. Noi stiamo intorno al 5-8% del valore del trasformato, in Germania a Monaco di Baviera in particolare siamo al 30-33% del valore del trasformato.
Questo significa fare una negoziazione amichevole e non attenta agli interessi della controparte pubblica, quindi accordi di partenariato con negoziazione sulle trasformazioni.
Potremmo pensare anche al trasferimento di fonti fiscali dalla tassazione di progetti più ricchi. Questo non sarà un progetto ricco, ma se pensiamo ad alcuni nuovi progetti che si potrebbero realizzare a Milano, per esempio la costruzione di nuove polarità sulla cinta ferroviaria, là dove la cinta ferroviaria interseca le grandi linee di forza di penetrazione e interazione con l’esterno, bene queste nuove polarità sicuramente sarebbero delle trasformazioni ricche sulle quali una negoziazione ben fatta potrebbe acquisire plusvalori da reindirizzare sulle aree e sul progetto più povero e se vogliamo più pubblico dei Navigli.
Francamente tra gli strumenti finanziari escluderei il projet financing perchè non vedo elementi tariffabili. L’unica cosa che potremmo tariffare è la percorrenza dei motoscafi che non mi sembra un gran che. Mentre sarei molto più attento per esempio ad un grande prestito che potrebbe essere nella forma di un azionariato popolare oppure di un grande prestito, rimborsabile diciamo a scadenza, garantito dal comune, quindi il comune si finanzia e non deve sborsare il capitale complessivo, ma semplicemente deve pagare gli interessi ed eventualmente le rate di restituzione del prestito, garantito dal comune e/o da grandi istituzioni o grandi operatori privati.
Ad esempio il signor Guinness a Dublino ha costruito il più grande parco della città per farsi perdonare le sbornie dei suoi concittadini. Ecco io penso a grandi istituzioni e grandi operatori privati che nei 10 anni d’oro dello sviluppo immobiliare hanno realizzato enormi plusvalori che hanno dato luogo a una enorme capacità di corruzione della politica e della moralità pubblica. Questi grandi operatori potrebbero essere chiamati a partecipare al fondo di garanzia per finanziare il progetto.
Un ultimo strumento da utilizzare nel fondo di garanzia potrebbe essere l’utilizzo della cosiddetta moneta urbanistica. Ad esempio se noi non abbiamo i soldi per costruire che so un piccolo giardino che cosa facciamo? Paghiamo il giardino attraverso dei diritti a costruire e dei diritti edificatori che sono ormai entrati nella prassi di tipo urbanistico, il metro cubo milanese. lo creiamo con decisione urbanistica lo attribuiamo a qualcuno perché ci interessa che questo qualcuno ci venda, ma noi non abbiamo i soldi per comprarlo, il suo terreno e in contropartita gli assegniamo un diritto edificatorio da qualche parte, io dico attenzione a dove atterra perché se questo luogo è in periferia e questo metro cubo è nel centro di Milano abbiamo permesso di fare una speculazione, attenzione stiamo cadendo in questo trabocchetto col nuovo PGT che su questo non ha innovato rispetto al piano delle regole precedente stiamo consentendo una nuova forma di speculazione fondiaria molto semplice e molto facile.
Ma attenzione c’è un utilizzo virtuoso di questa moneta urbanistica che potrebbe essere questo: anziché attribuire diritti edificatori ai proprietari del parco Sud noi li attribuiamo ad aree pubbliche. Bene, questo potrebbe essere il modo virtuoso di utilizzare questo nuovo strumento della moneta urbanistica, i diritti edificatori sono attribuiti al pubblico che li inserisce a garanzia dei grandi progetti non per monetizzare direttamente, non per pagare gli stipendi, ma in modo molto più indiretto strumenti patrimoniali con un valore molto preciso da introdurre i a garanzia di un progetto come questo. Vi ringrazio.

Antonello BOATTI – Professore di Urbanistica – Politecnico di Milano
E’ per me una grande soddisfazione questa opportunità data da Roberto Biscardini di discutere su questo tema perché dopo forse quindici anni, forse anche 20, da che propongo il tema dell’apertura dei Navigli vedo qui persone che hanno sentito parlare di questo argomento da tanto tempo. Colgo un risultato fantastico, vedo nuove opinioni su questo argomento, ho sentito il prof. Goggi ho sentito adesso Roberto Camagni e quindi per me francamente è motivo di grande soddisfazione. Volevo dirvi che per quanto mi riguarda io ho definito un progetto in autocad, quindi con le misure, con i passi carrai, insomma con la fattibilità concreta, in totale autonomia universitaria con un finanziamento CNR 2000 quindi nel 2000 e con il lavoro volontario di giovani studenti che hanno fatto tesi di laurea su questo tema. Quindi c’è anche una componente giovanile in questo progetto, altro che archeologia, altro che vecchiume, altro che nostalgia, altro che ragnatele.
E’ un progetto per rilanciare Milano e vi assicuro che io ho seguito almeno sei diverse tesi di laurea su questo argomento e questa è la base del lavoro, poi ci abbiamo lavorato ulteriormente. La novità è che c’è un tracciato condiviso. Tutti coloro che si occupano del progetto: Biscardini, Biassoni, Boatti, Malara parlano tutti di un tracciato e questo tracciato è disegnato per la prima volta nel PGT di Milano nella carta dei valori.
Nella carta dei valori del 1884 quando Beruto cancellò sostanzialmente il tracciato dei Navigli coprendoli per la viabilità, c’è questo tracciato che io vi delineo brevemente, ed è significativo. Cassina de Pom, Melchiorre Gioia, bastioni di Porta Nuova, S. Marco, Fatebenefratelli, Senato, Francesco Sforza, Santa Sofia, Mulino delle Armi, Conca di Viarenna, Darsena.
Quindi esiste un tracciato e questo tracciato è disegnato di nuovo per la prima volta su una mappa ufficiale del comune di Milano. È un progetto, ha ragione l’Assessore Maran hanno ragione quelli che dicevano se c’è un piano generale può essere eseguito per parti. Chi interverrà dopo di me parlerà del problema delle acque, bisogna studiarlo bene perché le acque si prendono da una parte dalla Martesana e poi bisogna riconvogliarle da qualche altra parte come prevede la legge, ma siccome se c’è un progetto generale ed è eseguibile per parti, e questo è importante saperlo, anche per la possibilità di finanziare l’opera e per avere un punto di vista complessivo.
Bisogna ribadire che il progetto è fattibile, non esistono strettoie significative io ho studiato l’argomento, lo hanno studiato anche Roberto Biscardini, lo ha studiato l’arch. Cassone l’unica strettoia vera è all’angolo tra Santa Sofia e Mulino delle Armi quell’angolo lì in cui bisognerà, a causa degli edifici che ci sono, restringerci magari con un senso alternato perché questo canale deve essere navigabile.
Sentivo il professor Abis che diceva il fascino che ha la possibilità di navigare, anche a scopo turistico, certo non si può pensare ad una città lenta.
Sono stato a Venezia l’altro giorno e girandola con il vaporetto pensavo: caspita si potrebbe fare a Milano con scopo turistico anche slow, anche lento, fino a un certo punto, perché per piccoli tratti può essere persino comodo e veloce lavorando nell’ambito del centro, e questo tracciato da periferia a periferia offre un lessico comune alla città anche dal punto di vista dell’arredo urbano, del senso di appartenenza. Guardate che partire da Cassina de Pom e giungere giù sino ai Navigli a sud di Milano vuol dire offrire a Milano un unico linguaggio di caratteristica urbana che dà senso di appartenenza e di riconoscibilità.
Una piccolissima parentesi, ne ha già parlato Roberto Camagni, ed io mi associo e parlo di altro però una cosa la devo dire, nel progetto Porta Nuova-Garibaldi-Repubblica dove passa sotto la Martesana, quale errore enorme il non aver previsto la riapertura almeno in quel tratto di quel corso d’acqua, ma forse è ancora riparabile.
Quindi una grande innovazione urbanistica a Milano sono d’accordo con Camagni una inversione di tendenza un segno che la città si occupa di altro che non sia la finanza, il terziario che rimane vuoto, le case di lusso che non hanno un target di riferimento e la gente non le può acquistare. Una città che ritorna ad occuparsi diciamo della città che noi vediamo camminando e quindi una grande rivoluzione urbanistica con cambio di segno che ricrea valori monumentali e paesaggistici a Milano, li ricrea perché la percezione dei monumenti è negata dal traffico, dalla difficoltà di osservarli.
Una nuova datazione per la città che aumenta la qualità della vita è indiscutibile io ho sentito anche altri interventi però respirare è importante, fondamentale. L’impossibilità di respirare aria buona che il traffico e la congestione hanno portato sono tutti fattori che conosciamo e sono uno dei motivi dell’allontanamento dei milanesi dalla città perché ha perso quella capacità di attrarre per starci, per cui i milanesi sono famosi perché nel week end appena possono scappano da Milano o forse anche definitivamente perché la popolazione è diminuita per lungo tempo.
Riaprire i navigli significa costruire l’essenziale ultimo anello della navigabilità da Locarno all’Adriatico se no è una navigabilità monca perché a un certo punto questa navigabilità se non riesce a passare l’ostacolo del centro di Milano non è vera navigabilità, non è vera se si deve pigliare l’autobus per farlo, invece noi questo sforzo di avere un mezzo agile piccolo ma che garantisca questa continuità lo dobbiamo avere lo dobbiamo fare.
La più fantastica ciclabilità, lo citavano altri, dal Ticino all’Adda e poi ancora dall’Adda al Ticino sino al Po, quindi veramente la più grande pista ciclabile forse europea per continuità ma che ha la possibilità di passare da Naviglio a Naviglio e praticamente arrivare al Duomo quindi una occasione fantastica. Un contributo importante al contenimento del traffico veicolare a Milano lo diceva già l’assessore Maran perché sul suo tracciato nella parte centrale della cerchia potranno transitare solo residenti, mezzi di soccorso e quindi carico scarico merci, ma non l’enorme autostrada urbana che è costituita dalla circonvallazione interna.
Un possibile risparmio energetico futuro se ad esempio gli scavi fossero usati lo dico in sinergia per la realizzazione del teleriscaldamento perché Milano se vuole affrontare il teleriscaldamento nella zona centrale di Milano deve scavare e quello è un anello offerto anche per il teleriscaldamento come anche le microturbine possono produrre energia elettrica perché ci sono i salti d’acqua ci saranno le conche e quindi si può impostare anche dal punto di vista economico si può tenere conto tra le altre cose anche di questo.
Rilancio turistico di Milano, monumenti, battello di servizio pubblico e quindi molto più di un marchio. Io non voglio usare parole inglesi per una mia polemica con il Politecnico di Milano che vuole costringere uno studente italiano a parlare in inglese se no ti cacciano no. E quindi non userò la parola che si usa abitualmente per dire un marchio ma è molto più di un marchio, perché un marchio è legato solo al marketing all’economia, noi dobbiamo lanciare una nuova idea e se per caso in questa idea ci fosse anche un po’ di poesia di capacità di slow di lentezza, sono capitato anch’io sull’inglese, bene è questo il segno che può avere un progetto di questo tipo. Vi ringrazio

Maurizio BROWN - Direttore acque Reflue di MM Metropolitana Milanese
Innanzitutto buon giorno a tutti, il mio sarà un intervento, un contributo puramente tecnico, ve lo anticipo subito, perché scenderemo in dettagli, in particolari che dovrebbero servire proprio a inquadrare meglio le problematiche idrauliche connesse con questa operazione. Sapete tutti, andrò molto veloce considerata anche l'ora, che la cerchia dei Navigli, ovvero, la fossa interna di Milano era il cuore di un sistema idrografico molto più ampio che è stato già più volte illustrato precedentemente, ma a me interessava analizzare che cosa è successo nel corso degli anni, perché la trasformazione, la chiusura della Fossa Interna, non è stata soltanto la soppressione di un corso d'acqua, ma è stato praticamente un rivoluzionamento totale di quella che era la struttura idrografica originaria della nostra città.
Fig. 1 Fossa Interna situazione di alimentazione originaria
(Dopo la soppressione del Naviglio di San Gerolamo 1894 circa)



Quindi, innanzitutto, vediamo come era la situazione originaria riportata in fig. 1. Le acque del Seveso e della Martesana (A-B), che entravano in città, si ripartivano tra una serie di corsi d'acqua: la Fossa Interna (C-G) per prima, il Grande Sevese (E-F), il Cavo Redefossi (B-I), la roggia Vettabbia (F-L) per arrivare fino alla Darsena. Vediamo che cosa è successo dopo la soppressione dei Navigli (Fig. 2).
Fig. 2 – Situazione dopo la soppressione della FOSSA INTERNA situazione attuale (dopo il 1966)



Praticamente a questo punto non solo è stato soppresso il collegamento tra la Martesana a nord e il sistema dei Navigli ancora esistente a sud (Darsena), ma è scomparsa anche la possibilità di alimentazione di quelli che erano i corsi d'acqua originariamente derivati dalla Fossa Interna, in particolare la roggia Vettabbia. La roggia Vettabbia è il più antico corso d'acqua di Milano, ha una storia estremamente interessante e da secoli, oltre tutto, esplica la funzione irrigua per un ampio comprensorio agricolo a valle della città. Oggi la Vettabbia Bassa riesce a svolgere tale funzione grazie al all'utilizzo esclusivo delle acque di fognatura della città di Milano, adeguatamente depurate.  
Si tratta certamente di un aspetto sicuramente importante, perché costituisce un esempio, il più significativo in Europa, di recupero ad uso irriguo delle acque di rifiuto, che risponde anche all'esigenza, rilevata prima dal collega che mi ha preceduto, di contenere il rischio della carenza idrica, del fabbisogno irriguo. In ogni caso, la soppressione della Fossa Interna ha determinato dei grossi guasti, al di là del problema della connessione del sistema dei navigli. Non avendo più acque proprie, oggi il ramo superiore della Vettabbia è alimentata dal Grande Sevese che prende acqua dai pozzi di prima falda, mentre la fonte di alimentazione del ramo inferiore della Vettabbia è diventata il depuratore di Nosedo. In particolare, per poter recuperare la Vettabbia alta è stata sfruttata una difficoltà: il fenomeno della risalita della falda ha fatto sì che negli anni 90 si dovessero realizzare una serie di pozzi di aggottamento per cercare di contenerla, molti dei quali sono stati realizzati nel centro storico. Le loro acque sono state immesse nel Grande Sevese, che ha origine da via Cusani, percorre tutta la cerchia di quella che era la vecchia fossa romana e si immette nella Vettabbia in via Molino delle Armi (tracciato S-F in fig.2). Lungo questo percorso riceve le acque di alcuni pozzi che vanno a deprimere la falda e in più riceve alcuni apporti di acque scaricate dalle pompe di calore (che quindi vengono riutilizzate ulteriormente, perché queste acque finiscono per l'agricoltura).   Grazie a questa operazione (mi spiace è un fuori tema, ma forse se mi date il permesso ritengo opportuno accennarne), grazie a questa operazione la Vettabbia si è potuta recuperare. C'è un esempio estremamente interessante nel quartiere Spadolini dove al posto della vecchia fabbrica OM la Vettabbia è stata scoperchiata e con l'alimentazione di queste acque contribuisce a creare un paesaggio urbano estremamente interessante (Fig. 3).  
Chi conosce quel quartiere e si ricorda che cosa c'era prima può verificare come effettivamente si può migliorare l'ambiente: l'acqua che scorre ha dato una connotazione particolare, riscoprendo proprio quella vocazione di area irrigua che era di quella zona.   Scusate, tornerei al tema principale perché non vorrei dilungarmi troppo. Quindi è chiaro che la riconnessione della Fossa Interna è assolutamente una operazione che serve a ripristinare uno status quo che era funzionale non soltanto alla via d'acqua, via d'acqua vera in questo caso, ma che è funzionale anche a tutta la distribuzione delle acque della zona del sud milanese.
Fig. 3 - la Vettabbia all'interno del Quartiere Spadolini



Allora, adesso affronterei per approssimazioni successive il tema della riapertura, partendo da questo problema: la prima cosa da fare per poter riaprire il Naviglio è ripristinare il collegamento idraulico (Fig. 4).
Fig. 4 - ripristino del collegamento idraulico lungo la fossa interna



Il collegamento deve partire sicuramente da questo punto, il punto D (siamo in via Fatebenefratelli dove arriva ancora la connessione del Grande Sevese) fino al punto H dove c'è la riconnessione con la Darsena.   Lungo tale tracciato esistono due condizioni diverse: la situazione tra D e F, dove la Fossa Interna è stata coperta e successivamente, negli anni '60, completamente interrata, conservando la struttura originaria. (potremmo anche considerarla una sorta di cava di sabbia e ghiaia), mentre più a valle (tratto tra F e H) è completamente da riscavare perché è stata distrutta.   Allora nel primo tratto una prima ipotesi per ripristinare il collegamento idraulico risulta più facile: basterebbe semplicemente utilizzare uno degli spazi che sono stati mantenuti con l'interramento (per coprirla la fossa fu suddivisa in tre parti) per infilare una tubazione, anche con tecniche modi senza scavo, limitando l'impatto sulla superficie stradale (Fig. 5).



Fig.5 – Ipotesi di ripristino della continuità idraulica nel tratto D-F
Eventualmente il passo successivo potrebbe essere quello della effettiva riapertura.  
In proposito a ciò mi ponevo un tema che è comunque stato evidenziato anche dalla relazione di Goggi.  
In realtà un tempo il Naviglio aveva una sezione molto ampia che andava dalla sede stradale (alzaia sul lato esterno della cerchia) fino al filo dei fabbricati (lato interno).  
Un tempo tutti i fabbricati che si affacciavano sui Navigli avevano come ingresso la via posteriore. Se voi guardate una carta di Milano vedete che tutta la cerchia e praticamente accompagnata da una strada che la circonda più dall'interno e che era l'accesso carraio per i fabbricati che si affacciavano sul canale (forse l'unica eccezione era l'edificio in corrispondenza del ponte delle Sirenette, se qualcuno se lo ricorda, in via San Damiano).  
Cosa è successo dopo la copertura? Specialmente con la ricostruzione del dopoguerra, gli accessi per i nuovi edifici, con negozi e atelier, sono stati aperti sul fronte della cerchia, quindi è evidente che occorrerà mantenere sul fronte dei fabbricati un percorso, il più stretto possibile, ma necessario per garantirne l'accesso, anche per mezzi di emergenza (Fig. 6).
Fig. 6 – Ipotesi di riapertura della Fossa Interna



Questa situazione potrebbe comportare, è un tema tutto da studiare, un ridimensionamento di quella che è la parte utilizzabile effettivamente per la riapertura del canale, se vogliamo salvaguardare la sponda storica.
Quando furono coperti i Navigli la parte terminale che andava in Darsena è stata completamente soppressa, quindi tutte le acque della Martesana e del Seveso uscivano o tramite il Redefossi o tramite la roggia Vettabbia, quindi non raggiungevano la Darsena. Praticamente le acque entravano o nella Fossa Interna o nel Redefossi, ma al massimo potevano arrivare al punto F e da lì andavano in Vettabbia. Perché il tratto tra F e H era stato soppresso già negli anni 30. Ecco perché non c'era un inquinamento della Darsena di questo tipo se non da parte dell'Olona che allora vi recapitava le proprie acque. Ma questo è un altro discorso.
Comunque, proseguendo il discorso, ecco il tema più importante a cui volevo arrivare oggi.  
Ricordare uno dei motivi principali della copertura dei Navigli, che molti spesso si dimenticano. E' vero, c'è stato l'avvento l'automobile, c'è stata questa voglia di cambiare di una città che stava crescendo, ma c'è un'altra grande spinta. Non dimentichiamo che in quegli anni stavano nascendo in tutta Europa le reti di fognatura. Le grandi città attuali hanno potuto svilupparsi solo grazie a questa infrastruttura fondamentale, che costituisce un imprescindibile presidio igienico sanitario, senza il quale il loro sviluppo era fortemente condizionato e limitato, dallo scoppio di frequenti epidemie. Quindi, in quel periodo ci fu una grande attenzione all'igiene. Il piano Beruto propose di chiudere i Navigli perché erano diventati il recapito per le acque di fognatura, ma non solo per quelle di Milano, non solo per quelle che veniva immesso nella Fossa Interna, ma, soprattutto, per quelle che arrivavano dal Seveso. Si tratta di un corso d'acqua che già allora drenava una delle aree maggiormente produttive e industriali dell'epoca, senza nessun tipo di depurazione, che si immette nella Martesana a circa metà di Melchiorre Gioia all'altezza di via Carissimi (punto A in fig. 1).  
Quindi noi abbiamo avuto e abbiamo questo grosso problema, che è storico: una cattiva qualità delle acque nei momenti di magra, cioè quando non piove, e portate eccessive nei periodi di pioggia.  
Prima della soppressione della Fossa Interna il problema era stato risolto con lo scaricatore (punto B in fig. 1) che vedete in queste vecchie immagini (Fig. 7, 8): al Ponte delle Gabelle, dove oggi c'è un giardino in superficie prima di quel tunnel dove un tempo il Naviglio entrava a Milano, esisteva questo sfioratore.
Il manufatto consentiva alla Martesana di sfiorare le piene del Seveso e quindi impediva che le piene del Seveso entrassero in città. Però questo avveniva in maniera abbastanza difficoltosa e non eliminava il problema nel tratto di monte della Martesana (tra il manufatto di sfioro al ponte delle Gabelle e la via Carissimi, tratto A – B in fig. 1).  
Quindi questa è un'altra delle ragioni che hanno portato a coprire anche la Martesana.  
Altrimenti il Seveso sarebbe esondato anche in via Melchiorre Gioia.  
Anche qui le soluzioni possibili sono diverse: si potrebbe pensare banalmente di separare il Seveso dalla Martesana nel tratto in questione. La soluzione è abbastanza ovvia: per il tratto compreso tra il punto indicato come A (via Carissimi) e il punto B (ponte delle Gabelle) separare Seveso e Martesana, eventualmente con la suddivisione dell'alveo stesso (Fig. 9), e condurre le sole acque della Martesana a superare il manufatto che da origine al Redefossi proprio al ponte delle Gabelle (punto B in fig.1), per immetterle in via San Marco (tratto B – C in fig. 1) e quindi nella Fossa Interna. Una specie di "via preferenziale" che salvaguarderebbe la Fossa Interna riaperta dalle acque inquinate e anche dalle piene del Seveso che continuerebbero a confluire nel Redefossi.  
Ma, come diceva stamattina l'assessore Maran, in realtà le problematiche vanno sempre viste in un quadro più complessivo, più ampio. Bisogna ragionare a livello di bacino. In realtà se noi oggi vogliamo risolvere le problematiche dell'alimentazione della fossa interna dobbiamo anche considerare la necessità di superare le problematiche di una città come la nostra che si allaga ogni volta che piove molto forte.
Fig. 7 – Planimetria dello sfioratore della Martesana in Redefossi al Ponte delle Gabelle



Fig. 8 – Sfioratore del Ponte delle Gabelle visto dalla Martesana



Pensate a Niguarda, dove si verificano allagamenti causati dall'esondazione del Seveso ogni volta che piove intensamente nel suo bacino idrografico a monte della città. Ma attenzione non stiamo parlando di piogge intensissime, stiamo parlando di piogge di medio alta intensità. E' chiaramente incomprensibile pensare che una città come Milano debba continuare a vivere sotto questa minaccia.
Fig. 9 – separazione del Seveso e della Martesana lungo la tombinatura di via M. Gioia



Per trovare dalle soluzioni esiste un Accordo di Programma con la Regione Lombardia, l'Autorità di Bacino del Po, il Comune di Milano e la Provincia di Milano. In quest'ambito sono stati fatti molti studi approfonditi e una delle conclusioni raggiunte è molto semplice: non è possibile fare altri scolmatori.  
Attualmente non è più possibile perché il regime idrografico dei nostri corsi d'acqua ormai è completamente compromesso, cioè nessun corso d'acqua è in grado di assumersi, anche solo temporaneamente, portate che arrivino da altri bacini.  
Quindi l'unica soluzione possibile è realizzare a una laminazione delle portate a una regimazione delle portate di piena, in questo caso del Seveso, a monte della città.  
Per darvi una idea, la portata attuale del Seveso che può arrivare su Milano con un tempo di ritorno di 100 anni, che sono i tempi classici degli studi fluviali, è di circa 110 metri cubi al secondo, contro una capacità di portata dal Cavo Redefossi che è solo di 30 - 40 metri cubi al secondo (Fig. 10)
Ecco la ragione per cui noi subiamo le esondazioni.  
E' chiaro che occorre innanzitutto avviare una operazione di regimazione del Seveso e quindi il progetto di riapertura della Fossa interna e della Martesana può diventare parte di una operazione molto più ampia.  
L' ipotesi che propongo è a livello molto esemplificativo: innanzitutto dovremo riuscire davvero a fare una serie di interventi lungo l'asta del Seveso, con la realizzazione di bacini di invaso e con interventi anche sulle reti di drenaggio urbano (perché attenzione, si può anche cominciare a intervenire diversamente sull'utilizzo dell'acqua di pioggia, come chi mi ha preceduto ha accennato) per laminare le portate di pioggia.
Fig. 10 – Schema idraulico sistema Seveso - Martesana - Redefossi



A questo punto, e solo a questa condizione, sarebbe forse possibile riscoprire un vecchio progetto, proposto da Metropolitana Milanese, che è stato a suo tempo abbandonato perché avrebbe appesantito il regime del Lambro. Con portate provenienti dal Seveso, ridotte a quelle compatibili attualmente con il cavo Redefossi (30 - 40 metri cubi al secondo), potrebbe risultare possibile, con quel canale indicato in rosso in fig. 11, andare a trasferire, partendo dal punto A di questa figura, tutto il Seveso verso il Lambro settentrionale. Ovvero, portando queste portate, che oggi affluiscono comunque i Lambro, tramite il Cavo Redefossi, nel punto D , a confluire sempre nel Lambro leggermente più a monte, nel punto B. In questo caso il regime del Lambro non subirebbe variazioni. Quindi si tratterebbe di trovare una soluzione di questo tipo, d'accordo naturalmente con l'Autorità di bacino del Po e con il piano di bacino.
Una simile soluzione, comporterebbe, tra l'altro, che le piene del Seveso non entrerebbero più all'interno della Martesana e, quindi, avremmo la possibilità di perseguire anche degli interventi di riapertura vera, completa e sicura della Fossa Interna e della Martesana.  
Voglio chiudere dicendo una semplice cosa: è chiaro che contestualmente all'avvio dei progetti di laminazione, devono assolutamente procedere gli interventi di depurazione delle acque reflue del bacino del Seveso.  
Questo è importante perché quei bacini di laminazione che oggi faticosamente vengono proposti agli abitanti dei territori interessati, a causa della cattiva qualità delle acque raccolte, potrebbero diventare dei luoghi anche paesaggisticamente interessanti.  
Potrebbero anche fungere da punti di raccolta e di riutilizzo dell'acqua di pioggia, come si accennava appunto prima.  
Quindi come vedete tutte queste operazioni devono secondo noi inserirsi in un quadro più complessivo, che vada anche oltre alla semplice riapertura dei Navigli. Grazie per l'attenzione.
Fig. 11 – Deviazione del Seveso dalla Martesana




Pier Giuseppe TORRANI - Presidente AIM - Associazione Interessi Metropolitani
Le relazioni di chi mi ha preceduto sono state molto interessanti. Esse hanno introdotto, in un tema come quello dell’apertura dei Navigli, una giusta prospettiva temporale dei 20, 30 e 40 anni.
Il tema dei Navigli infatti non lo si può immaginare se non in una visione onirica, di sogno da promuovere.
L’intervento dell’ing. Brown della Metropolitana Milanese ci ha anche ricordato che il vero problema urgente che ha oggi Milano sotto il profilo idraulico è quello delle ricorrenti alluvioni che ormai ripetutamente si susseguono. Se la complessità del tema dei Navigli viene arricchita dalle problematiche idrauliche, si evidenzia che la finestra temporale, cui sopra si è fatto cenno, richiede una capacità di governo che in questo momento non vedo molto presente nel nostro territorio. Tutti i programmi a 30-40 anni richiedono una visione, una capacità strategica determinata, risorse finanziarie cospicue e una capacità realizzativa oggi non disponibile per realizzarlo. È, quindi, molto giusto lo sforzo che alcune associazioni culturali stanno facendo per fare crescere nell’opinione pubblica un interesse specifico su questo tema, sapendo che per altro vedremo delle realizzazioni concrete molto in là nei tempi.
E allora nel tempo breve quale è il primo passo da fare rivolto strategicamente al futuro? L’anno scorso si era tenuto in Consiglio regionale un primo convegno che era prodromico diciamo a quello di oggi. Già allora erano state prodotte relazioni molto interessanti e molto stimolanti e quel convegno si era concluso con una proposta operativa per dimostrare che era possibile fare un iniziale e significativo passo. La proposta formulata riguardava il recupero della Darsena e il collegamento alla Darsena della chiusa di Viarenna. Due interventi possibili a forte contenuto simbolico che si poteva benissimo pensare di fare con le risorse dell’Expo: obiettivo simbolico perché il riaprire una conca tra il Naviglio interno e la Darsena era la dimostrazione che era possibile fare un primo passo verso la riapertura dei Navigli. Da quello che mi risulta quella proposta operativa, che era stata formulata oltretutto nella sede del Consiglio regionale, in una riunione presieduta dal Presidente del Consiglio regionale non mi sembra sia stata accolta. I lavori dell’Expo si limitano a un recupero della Darsena e poi a realizzare un non meglio precisato canale di collegamento del terreno dell’Expo con il Naviglio ovest. Risorse ce n’erano ma si è deciso che non ce ne fossero per dare il segno di una possibile apertura dei Navigli.
Peraltro poiché il consenso dei cittadini si muove attorno a fatti concreti, allora ci si può domandare quali altre proposte con valore simbolico e a costi sostenibili è ora possibile formulare per sottolineare che la cerchia dei Navigli può avere una destinazione diversa da quella di costituire una circonvallazione automobilistica della città. È possibile fin d’ora immaginare di chiudere la cerchia dei Navigli al traffico automobilistico lasciando passare nella cerchia dei Navigli soltanto il traffico pubblico? Può essere un primo passo perché comunque lì si dovrà arrivare qualora si riuscisse a riaprire i Navigli. È un passo più semplice da realizzare, che richiede investimenti minori e attorno a questo passo semplice si può costruire qualche cosa di altro. E, cioè si prospetta da subito il tema di destinare la cerchia dei Navigli ad usi diversi, come spazio della città usabile dai flussi lenti della mobilità, percorsi ciclopedonali e arredo urbano dello spazio pubblico quale luogo anche di sosta ammessa per i cittadini, una sorta di parco lineare che contorna la città storica.
Questa estate ho fatto un viaggio interessante negli Stati Uniti d’America, e vi ho trovato una vitalità urbana incredibile basata su interventi minimali. A New York per esempio hanno chiuso un lungo tratto di Broadway che è una delle grandi vie di comunicazione, la via dei teatri, la via dei consumi.
È stata chiusa senza complicati interventi di arredo pesante che costano (per chiudere via Dante sono stati spesi un sacco di quattrini per rifare la pavimentazione per cui alla fine quando si è tolto il traffico automobilistico è stato poi necessario riprivatizzare le aree recuperate affidandole in concessione a bar e ristoranti).
A Broadway cosa hanno invece fatto: hanno chiuso la strada poi hanno pitturato una parte della strada di azzurro e quella è diventata la pista ciclabile. Sulla residua strada liberata dal traffico sono state poi messe panchine, seggioline, tavolini e ombrelloni a disposizione di tutti e sono state create aiuole e zone erbose.
Un intervento semplice, non un arredo pesante, che ha una forte capacità educativa e dimostrativa perché i cittadini si rendono conto che gli spazi urbani possono essere usati anche in modo diverso.
Una operazione simile può essere fatta sulla cerchia dei Navigli per dimostrare che si può introdurre un nuovo scenario urbano a seguito di una utilizzazione di un bene pubblico per nuovi scopi ambientali e di arredo urbano.
Milano vive una stagione di grandi paradossi. Se noi guardiamo l’ambiente urbano milanese a livello del pedone lo scenario che abbiamo di fronte è quello di un parcheggio diffuso. Tutto lo spazio pubblico è occupato dalle automobili, in parcheggi spesso non autorizzati, in parcheggi abusivi, in doppia fila, in tripla fila, tutto occupato!
Un turista che viene, che ne so dal Katai, direbbe che Milano è la città delle automobili in sosta. Non si vedono neanche i palazzi perché tutto viene distratto da questa presenza ossessiva. Molti di questi parcheggi sono stati realizzati portando addirittura le automobili sui marciapiedi, quindi, anche lo spazio del camminare si è di molto ridotto. E il paradosso di Milano è che, da una parte la città è invasa dalle automobili, dall’altra se si cerca di fare un parcheggio nel sottosuolo di Milano si scatenano tutte le proteste. Questi sono i paradossi che dobbiamo cercare di risolvere nella nostra psicosi malata di cittadini. Qualsiasi cosa si faccia viene subito criticata e invece si accetta senza proteste un sistema di grave degrado urbano.
Cerchiamo invece di fare dei piccoli passi di recupero ambientale. Per questo può essere utile il recupero della cerchia dei Navigli. Per quanto riguarda invece la sede interrata dei Navigli oggi questa può essere prioritariamente recuperata per usi idraulici per cercare di risolvere, come ricordava l’ing. Brown, le esondazioni del Seveso evitando che il fiume fuoriesca in viale Zara e adesso anche nella linea 5 della metropolitana. È questo il primo problema da risolvere. Poi il resto del sogno che è stato rappresentato molto bene da varie relazioni, resta intatto. Ma cominciamo a costruire oggi la prima parte del sogno di questa notte, proviamo a pedonalizzare quell’anello dei Navigli. Tutto o in parte, non lo so, ma almeno diamo un segnale di possibile qualità diversa degli spazi pubblici a Milano.
Grazie

Roberto BISCARDINI – Presidente Associazione Riaprire i Navigli
Siamo arrivati al termine del nostro incontro. Mi auguro che sia stato di vostro interesse.
Per concludere voglio fare riferimento ad alcune importanti suggestioni rilevate pocanzi dall’avvocato Torrani, che rimangono dei tabù di questa città, e che anche Roberto Camagni ha in qualche modo evocato nel suo intervento quando ha parlato delle difficoltà di intravedere la finanziabilità dell’opera attraverso project financing, facendo riferimento alle tariffazioni. Avremo modo anche con lui di approfondire in seguito ma, come è già stato detto, alcune voci di entrata saranno senz’altro possibili. Per dirla chiara, a Milano bisogna rimuovere ostacoli ideologici e timidezze, e agire con quella capacità che una grande città come la nostra deve avere se vuole realizzare grandi opere e se vuole volare un po’ più in alto. Se riprendessimo per esempio a Milano a discutere di parcheggi interrati non sarebbe sbagliato. Si fa in tutta Europa e non si fa qui. Se ci ponessimo subito il problema di realizzare parcheggi interrati nell’intorno della cerchia dei Bastioni e dei Navigli, finalizzati ai residenti o alla sosta a rotazione, una parte di finanziamenti diretti anche per la riapertura dei Navigli si potrebbe trovare.
Ma ormai sui parcheggi siamo ideologicamente alla damnatio memorie. Dopo che la giunta Moratti ha deciso di utilizzare la questione dei parcheggi interrati per contrastare politicamente il suo predecessore, dei parcheggi interrati a Milano sembra che non se ne possa più parlare. Sono diventati una questione da malaffare e ciò ha messo in cattiva luce anche una procedura fondamentale come quella del project financing, che ha come obiettivo quello di orientare risorse private nella realizzazione di opere pubbliche. Non rilanciare il project financing in un momento di crisi e senza risorse comunali, è una pazzia.
E così ci teniamo le macchine parcheggiate a raso in città, fuori e dentro il centro storico, impedendo progetti di riqualificazione ambientale, impedendo un diverso disegno urbano delle viabilità e delle zone pedonali. Impoveriamo la città, consentendo un inquinamento visivo, oltreché atmosferico, che altre città europee hanno saputo affrontare con coraggio e senso pratico.
A Milano vogliamo pedonalizzare la città, favorire l’uso delle biciclette e non abbiamo il coraggio di portare le macchine fuori dai vecchi stazionamenti e fuori dal centro storico. E’ impossibile volere le due cose insieme e tenerci tutto in un sistema totalmente conflittuale. Tanto più che a Milano molte macchine che stazionano ai lati delle strade sono sempre ferme, giorno e notte, alcune anche per settimane intere, non circolano mai, e il suolo pubblico è usato come un grande parcheggio privato. Noi non vogliamo rinunciare a realizzare un progetto giusto per tutta la città e non vogliamo rinunciare a ricercare ogni forma di finanziamento che consenta di realizzare la riapertura dei Navigli con il minore contributo pubblico possibile. Questo è il punto. Siamo nati non per fare dei Navigli un argomento culturale, ma per realizzare concretamente questo grande progetto. Da questo punto di vista il progetto di riapertura dei Navigli è un progetto di riqualificazione urbanistica complessiva per cambiare la città e migliorare la sua qualità urbana. Interverrà necessariamente e progressivamente sul tessuto urbano e richiederà uno sforzo progettuale di grande coraggio.
Adesso le conclusioni spettano all’architetto Andrea Cassone vice presidente dell’Associazione Riaprire i Navigli.

Andrea CASSONE Vice Presidente Associazione Riaprire i Navigli,Coprogettista del progetto di Riapertura dei Navigli
Ne abbiamo parlato per anni, lo abbiamo immaginato, sognato, poi abbiamo pensato di farne un progetto, un obiettivo reale per restituire a Milano la sua anima. E’ così che è nata l’associazione “Riaprire i Navigli” che vi presentiamo con il convegno odierno. L’associazione ha uno scopo evidente, la riapertura dei Navigli.
Abbiamo un sito, www.riaprireinavigli.it, dove potrete trovare diverso materiale relativo al progetto e anche molta documentazione sui navigli che abbiamo raccolto nel tempo. E spero che tutti voi decidiate di diventare soci dell'associazione perché si tratterebbe di un modo attivo per condividere un progetto che ha una forte connotazione sociale, che auspica una viva partecipazione alla sua realizzazione al punto che tra le ipotesi che si vanno facendo, abbiamo preso in considerazione anche una possibile forma di azionariato popolare per la realizzazione dell’opera.
Allo stato attuale l’Associazione sta lavorando molto su due aspetti fondamentali: il piano di fattibilità e la finanziabilità del progetto.
A mio avviso sono cinque i punti che qualificano in modo particolare il progetto di riapertura dei Navigli.
Il primo punto ha a che fare con la qualità urbana di Milano. Il progetto è finalizzato quindi a restituire a Milano la propria qualità urbana. Le città non sono solo luoghi artificiali. Le città sono sorte in contesti naturali che hanno caratterizzato l'insediamento stesso. Milano è nata sull’acqua e per secoli e secoli ha vissuto con l’acqua. L’acqua fa parte della sua natura intrinseca. Negare questo aspetto della città equivale a negare la sua essenza profonda. Il primo obiettivo dell’associazione è perciò quello di restituire a Milano la sua qualità di città d’acqua, sanando una ferita che le ha impedito di essere, di diritto, una delle grandi città d’acqua europee e mondiali.
Il secondo punto ha a che fare con la memoria. Vogliamo restituire la memoria di città d’acqua ai milanesi. Parlo di memoria e non di storia. La memoria che si trasmette per via “vivente”, di generazione in generazione. La memoria di quella Milano raccontata da scrittori, da pittori e fotografi, testimoniata nelle immagini, nei quadri e nelle fotografie che riempiono oggi le sale dei musei. Quella Milano doveva essere molto bella, molto suggestiva e molto viva. L’interruzione di questa vivibilità, avvenuta nel XX secolo per tutti i motivi che sono già stati ricordati, se pur comprensibili non bastano a giustificare una simile violenza. Questa ferita va risanata, restituendo a Milano la memoria di una città da vivere, da vivere finalmente in maniera differente.
Terzo punto: dare risorse ed opportunità. Operazioni di questo genere cioè interventi di grande riqualificazione urbana realizzate attraverso interventi architettonici e o urbanistici, cito per tutte l’esperienza di Bilbao, hanno sempre avuto l’effetto di provocare un aumento considerevole del PIL regionale e locale con tutto quello che ne deriva sul piano occupazionale.
Il quarto motivo si pone come obiettivo di fornire ad una generazione un grande progetto. Il dopoguerra ha dovuto affrontare il problema della ricostruzione che è durato più a lungo del previsto. Le generazioni attuali potrebbero avere nel progetto della riapertura dei navigli il loro grande progetto urbano, la loro capacità di esprimere concretamente un sogno, una visione della città, e il loro modo di vivere.
L'ultimo punto mi è particolarmente caro. E' necessario restituire a Milano un modo per riconciliarsi con la sua dimensione tecnica. Nel passato la tecnica ha dato soluzioni innovative, coniugando funzionalità e bellezza. Oggi la tecnica è vista con diffidenza. Dobbiamo fare in modo che possa essere recuperata l'idea che la tecnica sia qualcosa di positivo perché risolve i problemi e crea cose belle. Nel programma per la riapertura dei Navigli la tecnica deve diventare l'elemento in grado di coniugare un progetto credibile e fattibile ad un'idea di condivisione, di vivibilità e di bellezza.
Grazie per l’attenzione.


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